“Lei, col cane. Non può salire. Le persone col cane aspettano giù”. A nulla è servita la risposta: “Ma lei è un poliziotto, io sono cieca e lui è il mio cane guida”. Niente da fare. Neppure il tempo della denuncia, che sarà presa da un altro agente direttamente nella sala d’aspetto anziché al primo piano, come per tutti i cittadini. E’ la paradossale avventura toccata oggi a una 35enne di Roma non vedente che si è rivolta al Commissariato “Tuscolana”, quartiere Cinecittà. Dove un poliziotto, forse inesperto o forse digiuno di leggi in materia, ha intimato a una donna cieca di attendere lì dov’era e non salire al piano primo che ospita gli uffici per via del compagno a quattro zampe. La donna, ipovedente dalla nascita e da oltre 15 anni accompagnata da cani guida non si capacita del trattamento. “Giro per Roma con il cane guida da anni e non mi era mai successo. Vada per il supermarket e il bar, ma la polizia che mi impedisce di entrare no, mai”. E inizia l’alterco surreale.

“Lei deve attendere qui”. “Scusi ma sono salita altre volte per fare denuncia in questi anni e non mi hanno mai fermata, poi la legge indica chiaramente che possiamo accedere agli uffici pubblici senza limitazioni, si informi, la prego”. L’agente inforca le scale: “Vado a chiedere e le faccio sapere”. Passano i minuti ma la risposta è la stessa, non si sale. E la donna resta di sasso: “Ma come, noi ciechi ci imbattiamo in mille difficoltà e prevaricazioni per le quali spesso dobbiamo affidarci alle forze dell’ordine e ora mi ritrovo a subire da voi lo stesso trattamento che mi riservano i pizzaioli, i parcheggiatori, i bagnini? Ma con che spirito posso affidarmi alla polizia se il trattamento e la conoscenza dei nostri diritti è questo?”. Le buone ragioni non servono a molto. Gli agenti, se pur imbarazzati, prenderanno la denuncia di smarrimento della carta di identità dopo un’ora di attesa e direttamente nella sala d’aspetto, alla presenza di altri cittadini in attesa, in barba alla privacy.

“A un certo punto è sceso un poliziotto – racconta la signora Ada – che a mo’ di cortesia ha cercato di dirmi che, in fondo, era una gentilezza nei miei confronti. E io voglio crederci. Ma sono uscita di lì con la spiacevole sensazione che chi deve far rispettare le leggi non le conosca affatto, oppure le violi senza particolari remore”. La storia minima, del resto, si infila su portato di battaglie sfibranti che i ciechi d’Italia fanno da anni (e tutti i giorni) per veder riconosciuti i loro diritti. Perché le leggi, che ci sono, non bastano. Alla segnalazione le associazioni insorgono.

Teoricamente un disabile sensoriale col cane dovrebbe poter accedere ovunque senza limitazioni. Dal 1974 negli esercizi e uffici pubblici senza limitazioni, sui mezzi pubblici, taxi, hotel, ospedali, chiese, scuole etc… Nel 2006 è arrivata anche una legge che li tutela dalle discriminazioni. I principali comuni italiani hanno poi adottato ordinanze che esonerano i cani da lavoro dalla museruola, e Roma Capitale non fa eccezione. “L’incidente è chiuso, ma mi chiedo: se l’oggetto della denuncia non fosse stato un banale smarrimento di documenti? Ho anche pensato di denunciare loro perché non prendevano la mia denuncia. Ma è era davvero paradossale”. Anche perché la polizia si avvale di unità cinofile. Il suo sito istituzionale riporta in bella vista l’elenco dei cani “pensionati” da adottare, e tanti ce ne sono. Così HagbarII, bel pastore tedesco di colore nero del servizio antidroga, matricola 1898 deve uscire dalla Questura di Milano. Il bel labrador biondo che accompagna la signora Ada non può entrare in quella di Roma. Paradossi italiani, per chi li vuol vedere.

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