Grande scalpore ha suscitato la morte di Edmond Preka, l’uomo di origini albanesi che il 9 marzo è stato ritrovato morto in un canale irriguo di derivazione del fiume Vera a Paganica, deceduto a causa di un branco di cani randagi.

L’autopsia, effettuata sul corpo dell’uomo, ha stabilirto che la causa della morte non sia stata né il malore né un incidente stradale.

Da alcune ferite sul corpo dell’uomo, riconducibili in maniera specifica a morsi di cane, i carabinieri dell’Aquila  insieme al servizio veterinario della Asl sono risaliti a campioni di DNA animali.

Il servizio veterinario della Asl ha, infatti, prelevato dei campioni e operato un accurato lavoro di screening. Al momento la comparazione ha già portato all’individuazione di alcuni randagi rintracciati nella zona di Paganica, ma per conoscere le risultanze complete bisognerà attendere due mesi, tempo necessario per il laboratorio specializzato per analizzare i campioni.

Se dall’esito dovesse risultare che non tutti i cani responsabili dell’aggressione sono randagi, gli inquirenti tenteranno di risalire ai proprietari degli animali e individuare le loro responsabilità.

Di certo è che per ora il fascicolo aperto dal Pubblico Ministero Guido Cocco è contro ignoti.

Il fenomeno del randagismo

Ma chi è responsabile dei cani randagi?

Secondo la normativa vigente, al Comune spetta la vigilanza sulla osservanza delle leggi e delle norme relative alla protezione degli animali, nonché l’attuazione delle disposizioni previste da regolamento comunale anche mediante l’adozione di specifici provvedimenti applicativi. Il Comune può essere coadiuvato dalle Associazioni di protezione animale, cooperative o gruppi aventi finalità zoofile.

Le Associazioni di protezione animale, cooperative zoofile, nonché gli altri enti pubblici e privati, il cui statuto preveda precipui compiti di protezione animale, collaborano con il Comune e possono gestire, in convenzione con esso strutture di ricovero per animali ed eventuali servizi collegati al raggiungimento del benessere animale; collaborano alla vigilanza sulle problematiche connesse alle varie specie animali presenti sul territorio comunale.

“Gli strumenti di contrasto al randagismo sono l’anagrafe canina e il riconoscimento dello status di cane di quartiere, con l’obbligo di vaccinazione, sorveglianza e sterilizzazione a cura del servizio veterinario della Asl.

I cani di quartiere devono essere dotati di microchip e di una medaglietta che indichi i dati relativi al proprietario.

Eppure i confini delle responsabilità non sono così netti – spiega al Capoluogo David Filieri, già assessore all’ambiente del Comune dell’Aquila che nel 2007 ha sottoscritto il protocollo d’intesa con il servizio veterinario della Asl di L’Aquila.

Cani di quartiere e cani randagi

«Alle misure dell’anagrafe canina e della microchippatura – aggiunge Filieri – eravamo già approdati all’epoca del mio assessorato con un protocollo d’intesa firmato con la Asl in base al quale partì una campagna di sterilizzazione. All’epoca inoltre il Comune aveva organizzato un corso di formazione ad alcuni vigili urbani per consentire loro di fronteggiare a livello operativo i casi di randagismo. Azione di prevenzione da parte della Asl dunque e di controllo da parte del Comune.»

«Stiamo ripartendo dal protocollo di intesa con il servizio veterinario – ha spiegato al Capoluogo l’assessore all’ambiente della Giunta Biondi, Emanuele Imprudente -. Procederemo al controllo dei cani, del microchip e della sterilizzazione».

«È necessario fare però una distinzione fra il randagismo in città e il randagismo di cani allo stato brado – sottolinea David Filieri -. Il cane di quartiere è ben altra cosa rispetto a un cane randagio: il primo può essere il risultato di un abbandono, il secondo potrebbe rappresentare anche un esemplare che non è mai venuto a contatto con l’uomo. La nostra contiguità con la montagna e con ampie zone di campagna comporta che di esemplari così vi sia un numero non controllabile e probabilmente non arginabile».

«L’argomento è complesso e il problema è difficilmente risolvibile: la responsabilità è in capo ai Comuni ma i cani non conoscono confini e quindi è difficile anche risalire al Comune di provenienza degli animali. Vi sono Comuni che adottano misure di prevenzione e controllo e altri, di contro, che non lo fanno”.

Nel caso di randagi e non di cani di quartiere, come si fa a risalire al Comune (inadempiente o meno) di appartenenza?

I cani non conoscono confini e forse in alcuni casi neanche le responsabilità li hanno.

Né tantomeno le strategie di prevenzione di un fenomeno che sembra destinato a non essere mai sanato in toto.

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