Si aggirano fra i caffè e le moschee con fare indolente, avvezzi alla bellezza della città straordinaria che li circonda. Sono i gatti di Istanbul, rispettati, nutriti e coccolati perché, secondo la leggenda, fu proprio un gatto a salvare dal morso di un serpente il profeta Maometto. A loro, in particolare a sette di loro, è dedicato «Kedi. La città dei gatti», il docu film che la regista turca Ceyda Torun ha realizzato seguendoli con una telecamera per lungo tempo fra i vicoli della metropoli sospesa fra Asia e Europa.

Tolleranza felina

La locandina del film
La locandina del film

Sari, la soriana rossa e bianca che vive accanto alla Torre di Galata; Bengü che fa le fusa a tutti; Aslan Pasçasi, il piccolo leone che vive tra i ristoranti di pesce lungo il Bosforo; Psikopat, la dura del quartiere; il giocherellone Deniz e lo scalatore Gamsiz, perennemente arrampicato fra gli alberi e i balconi delle case di Citangir, il quartiere degli artisti. E Duman, che aspetta la sua razione di carne affumicata e formaggi, avanzi degli eleganti ristoranti di Istanbul. Sono loro i sette protagonisti del lungometraggio che sarà nelle sale italiane dal 22 maggio distribuito da Wanted Cinema. Una dichiarazione d’amore per i felini ma anche per una città che ha fatto della tolleranza verso di loro, una delle sue cifre inconfondibili, tanto da essere stata definitiva «la città dei gatti». Un’esperienza unica, quella di Istanbul, di convivenza pacifica al di là dello stereotipo della «padronanza» che considera l’animale proprietà dell’umano e che ricorda l’altrettanto straordinaria esperienza dei cani randagi accuditi in libertà nel nord del Marocco.


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L’anima della metropoli

«Sono crescita a Istanbul fino a undici anni — racconta la regista — e la mia infanzia sarebbe stata infinitamente più solitaria senza i gatti di Istanbul. Ogni volta che tornavo in città, la trovato sempre meno riconoscibile a eccezione di una cosa: i gatti, unico elemento costante e immutato che incarnava l’anima stessa della metropoli». Sono migliaia i felini che si aggirano indisturbati tra le vie del centro. Popolano la città da millenni, scivolando tra i giardini che circondano le moschee o curiosando pigri tra le botteghe dei mercati, a metà tra due mondi, quello selvaggio e quello domestico. Citati anche dalle guide turistiche, compaiono spesso nelle fotografie e vengono immortalati sullo sfondo della Moschea Blu o di Hagia Sophia. Girare il film, come spiega la regista, è stato anche un modo per capire la relazione le li lega all’altra grande colonia di randagi di Istanbul, quella dei cani: «Per le strade ci sono anche molti cani randagi, ma le loro vite rispetto a quelle dei gatti sono molto più tragiche, perché nella maggior parte, sono stati abbandonati dai loro proprietari e hanno difficoltà a trovare cibo e riparo malgrado il lavoro dei comuni per vaccinarli. In genere vanno d’accordo con i gatti, ma ci sono anche molte occasioni di liti».

Gatti innamorati della telecamera

Diventare i protagonisti di un film è stato per i gatti abbastanza naturale. All’inizio hanno dovuto prendere confidenza con una telecamera che si spostava su un’automobilina telcomandata. Ma scappavano, o volevano attaccarla. «Sembravano innamorati della lente gigante della fotocamera. Rimanevano a fissarla per molto tempo, come fosse un occhio gigante. Ma non volevamo filmarli manipolandoli in esibizioni. Volevamo raccontare la loro routine». Dal 2013 la troupe ha girato in lungo e largo le vie di Istanbul per farsi raccontare dagli abitanti le storie più significative dei gatti di quartiere. Prima ne sono state individuate 35, poi mano che si procedeva, sono diventate una ventina e alla fine si sono ridotte a sette. Gli abitanti hanno fatto da informatori, segnalando la presenza dei gatti e le loro storie. Artisti, musicisti, filosofi e professori li hanno raccontati, raccontando anche il loro amore per questi animali. Quello che ne uscito è un mondo visto con occhi felini, capaci di raccontare le storie di chi li accoglie e li rispetta per quello che sono, nella loro libertà che trova rifugio e sicurezza fra gli umani. Aslan Parçasi, ad esempio è amato dal vicinato perché caccia i topi e li tiene lontani, Duman conosce bene i turisti che popolano i ristoranti del centro: li osserva da lontano in attesa di un avanzo. Per tutti loro, la sospensione tra libertà e vagabondaggio è fondamentale e forse proprio in questo incarnano al meglio lo spirito, il caos e la cultura della città che li accoglie.

27 aprile 2018 (modifica il 27 aprile 2018 | 22:57)

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