Quanti cani si perdono? Tanti.  Quanti cani ritrovano da soli la strada di casa? Pochissimi. Per questo, quando succede, fa notizia.

Ma la storia di Gonker, il «mezzo» golden retriever che, nel 1998 si perse sugli Appalachi e riuscì a tornare a casa, è ancora più insolita.

Pauls Toutonghi, l’autore del libro Smarrito cane (Bompiani, 300 pagg. 19 euro, in libreria dal 14 giugno) è un giornalista e scrive per riviste e quotidiani tra cui il New Yorker, Granta e il New York Times. Ma, in questo caso, ha per così dire «giocato in casa».

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Gonker, infatti, era il cane di suo cognato Fielding e dei suoi suoceri Virginia e John Marshall. Qui sotto la sua storia.

SEDIE E CIAMBELLE

Tutti i cani sono unici agli occhi dei loro padroni. Ma alcuni lo sono di più. Gonker era uno di questi.

Fielding Marshall lo aveva preso alla Charlottesville-Albemarle Society for the Prevention of Cruelty to Animals, «un golden retriever non puro di otto settimane, di origini ignote».

Crescendo, il cane aveva rivelato una personalità particolare e attitudini anche bizzarre. «In qualsiasi stanza si trovasse, Gonker rifiutava di stendersi sul pavimento, preferendo invece salire sulle sedie: si rannicchiava su panche e sponde di letti con le zampe incrociate e il mento sollevato». Un comportamento quasi regale che sfumava al primo odore di cibo.

Se Gonker aveva un’indole elegante, il suo stomaco era insaziabile. «Una pattumiera aperta era una tentazione. Un panetto di burro incustodito? Irresistibile».

Spingeva la ciambella sul suolo fin quando non riusciva a infilarvi la punta del naso. A quel punto tirava su di scatto la testa lanciandola in aria e la riacchiappava con la bocca quando ricadeva

«Smarrito cane» esce in libreria il 14 giugno edito da Bompiani

UNA MALATTIA MORTALE

Quello che per anni nessuno aveva sospettato era che Gonker fosse gravemente malato. Fino al giorno in cui il veterinario gli diagnosticò il morbo di Addison, una patologia della ghiandola surrenalica che, se non curata, può essere mortale.

L’unico modo per tenerla a bada, spiegò ai Marshall, era un’iniezione mensile di ormoni di sintesi. I più avrebbe avuto bisogno di molte «attenzioni per tutta la vita»

UN PUNTINO NEL VERDE

Il 10 ottobre 1998, durante un’escursione sugli Appalachi, Gonker sparisce nella foresta.  Non solo rischia di morire di fame e di freddo o di venire attaccato dai coyote. Ha anche bisogno delle sue medicine. L’ultima iniezione risale a una settimana prima. I conti sono presto fatti: se non verrà ritrovato entro 23 giorni, morirà.

Inizia così la disperata ricerca alla quale partecipa tutta la famiglia. Fielding e suo padre camminano per giorni e giorni nei sentieri in mezzo ai boschi, mentre Virginia contatta via telefono e via fax (Parliamo di quasi 20 anni fa quando le email erano ancora per pochi) tutti quelli che potrebbero averlo ritrovato o darle una mano a farlo.

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IL PRIMO MIRACOLO

«La domanda importante era: a chi telefonare per primo? Decise: gli ospedali veterinari. Erano la fonte di informazioni più probabile. Poi avrebbe provato con tutti i canili, le strutture della protezione animali nei paesini».

Virginia contatta tutti meticolosamente ma decide anche di pubblicare un’inserzione su un giornale locale dove spiega la storia del cane e della sua malattia.

Se il cane si fosse spaventato per qualcosa, avrebbe avuto bisogno del suo farmaco prima del previsto

Quel suo appello non solo viene pubblicato, ma ripreso da un’importante agenzia di stampa e diffuso in tutto il mondo. Mentre le speranze di ritrovare Gonker diminuiscono giorno dopo giorno, la sua storia, come si direbbe oggi, diventa virale.

«Cronisti dalla Russia, dalla Cina, dall’Egitto, dal Burkina Faso, dalla Nuova Zelanda, dal Cile videro arrivare via cavo quel lancio d’agenzia. Quanti di loro lo lessero? Migliaia, di sicuro. Un numero incalcolabile di persone posò lo sguardo sul nome del povero cane e rifletté su di esso per almeno un istante».

RITORNO A CASA

Alle due del mattino del 25 ottobre, due settimane dopo la sparizione, finalmente, la telefonata che tutti aspettavano. La polizia di una stazione sciistica non lontana ha avvistato il cane. A quanto pare, aveva percorso quasi 180 chilometri verso casa, fino a raggiungere quella località. Lì aveva trovato abbastanza rifiuti per nutrirsi: aveva i polpastrelli delle zampe tagliati ma era riuscito persino ad aumentare di peso.

E così Gonker tornò a casa, dove visse altri cinque anni. «La vita media di un golden retriever», scrive  Toutonghi, «è di undici anni; ed è precisamente quanto visse Gonker. Nel 2003 perse la vista. Fegato e reni, indeboliti da anni di farmaci per il morbo di Addison, cominciarono a funzionare male. Le anche gli dolevano per l’artrite, faticava a camminare o anche solo a reggersi sulle zampe».

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A CHI NON CE L’HA FATTA

Questa, dicevamo all’inizio, è una storia speciale. Perché  la malattia di Gonker aveva trasformato il suo vagare in una sorta di conto alla rovescia verso la morte certa e perché la sua «famiglia umana» aveva dimostrato una dedizione nei suoi confronti al di fuori del comune.

Prendersi cura di un animale ti apre alla responsabilità, alla quiete, alla delicatezza. È un rapporto lungo e lento, basato su migliaia di azioni quotidiane

Ma è anche universale. Parla a tutti quelli che, nella vita, hanno fatto un pezzo di strada a fianco di un cane più speciale di altri. Che conoscono quello strano, profondo rapporto che si crea. Un legame che, se si spezza all’improvviso, come nel caso di un cane che sparisce nel nulla ma anche, viceversa, di un umano che non fa ritorno (Pensate ad Hachiko) lascia un vuoto impossibile da riempire.

Pauls Toutonghi lo ha capito benissimo. Per questo ha dedicato il suo libro «a tutti i cani che non sono mai riusciti a tornare».

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