Milano, 27 gennaio 2016 – 06:58

Si tratta per salvare i cento posti di lavoro alla Muratella e a Vitinia. Dal 3 febbraio in aula con l’accusa di maltrattamenti, la titolare del «rifugio degli orrori» sulla Prenestina, Pina Parrelli. Le rivelazioni in un dialogo intercettato

Un ospite del canile la Muratella (LaPresse)

Un ospite del canile la Muratella (LaPresse)

Un ospite del canile la Muratella (LaPresse)

Caos canili nella Capitale dei «trovatelli» dimenticati. Mentre il Campidoglio tenta una mediazione sulla ventilata chiusura dei rifugi della Muratella e di Vitinia (600 cani da assegnare a strutture private e 100 posti di lavoro a rischio, emergenze sulle quali la Cgil ha chiesto e ottenuto anche il sostegno della Regione), per il vivace e litigioso mondo degli animalisti romani si avvicina un appuntamento storico: vedere alla sbarra la signora Pina, al secolo Giuseppina Lacerenza Parrelli, 92 anni, bersaglio di strali da decenni in quanto titolare del cosiddetto «rifugio degli orrori», o «canile lager», o ancora «laboratorio dei cuccioli cavia», stando alle eccitate cronache che rimbalzano periodicamente sul web, e via esecrando. Va anche detto però che mai, da quando il Parrelli fu fondato negli anni ‘60 dal defunto marito veterinario dell’imputata (fratello del deputato comunista Ennio Parrelli), le accuse avevano avuto un seguito giudiziario. Il Comune inseguiva le voci, correva davanti alle gabbie sulla Prenestina e non trovava le raccapriccianti scene descritte. Fino al 2013, quando invece la Procura, anche sulla base del servizio pubblicato da Corriere.it, per qualche verso anticipatore di elementi appurati dall’inchiesta Mafia Capitale, ha ravvisato gli estremi della citazione diretta a giudizio, portando alla sbarra Giuseppina Lacerenza, i suoi collaboratori e i veterinari della Asl.

Le accuse

Pina ParrelliPina Parrelli

La prima udienza è fissata per il 3 febbraio. Oltre alla titolare, che deve rispondere di maltrattamento e abbandono di animali, esercizio abusivo di professione veterinaria e uso di atti falsi, saranno processati per gli stessi reati (eccetto l’ultimo) il direttore sanitario del rifugio, Beniamino Federici, e i due infermieri-inservienti romeni. Omessa denuncia e falsità ideologica sono invece le accuse ai veterinari della Asl B (Domenico Cardone, Piero Alfonsi, Vitantonio Perrone e Mariano Morettini) all’epoca incaricati di vigilanza e controllo sanitario del canile. L’inchiesta era scattata sulla base della denuncia di Loredana Pronio, della Federazione italiana diritti animali (FederFida), da tempo insospettita dal traffico di auto con targa Napoli di fronte al rifugio Parrelli e dall’uso frequente dell’inceneritore, dal quale usciva uno spesso fumo nero. Erano stati comunque i file audio consegnati al magistrato, non è chiaro se registrati da volontari scandalizzati da ciò che vedevano oppure da qualcuno degli imputati, a far compiere all’indagine il salto di qualità.

Nei mirino di Buzzi-Carminati

Il procuratore Giuseppe PignatoneIl procuratore Giuseppe Pignatone

Quei dialoghi tra Pina Lacerenza e la sua collaboratrice Cristina Cojocaru oggi potrebbero provare «una verità agghiacciante, ovvero la sistematica uccisione di animali» da parte di «un’operaia con l’avallo della datrice di lavoro». Lo deciderà il giudice, anche a beneficio dell’altra parte offesa, la Lav (Lega antivivisezione). Certo, ascoltati ora, alla luce delle novità emerse nell’inchiesta Mafia capitale, che ha chiarito come anche la gestione dei «trovatelli» fosse nel mirino del duo Buzzi-Carminati, quei brandelli di conversazione fanno impressione e forniscono un quadro inquietante sul pianeta-canili nella capitale. Da un lato ci sono infatti le strutture pubbliche, che d’ora in avanti saranno assegnate sulla base di una gara pubblica, come non avveniva da oltre 15 anni, e dall’altro le strutture private come il Parrelli (chiuso definitivamente solo un anno fa), che gli animalisti considerano il male assoluto.

Le conversazioni incriminate

«È pronta la siringa?». «Ogni cane morto è uno di meno…» Sullo sfondo dei botta e risposta si sentivano latrati di cani. «È maschio?» «Sì». «Tutti quelli che possiamo sopprimere, li dobbiamo sopprimere. Tutti!» era la frase attribuibile all’imputata. In un altro spezzone, la donna borbottava: «Il piccoletto c’ha il microchip? No? Possiamo sopprimerlo! È uno di meno». E ancora: «Quanto mi piacerebbe che morissero tutti! Ormai questa è una mafia… Non mi salvo da questi!» Attenzione: mafia. Eccola, la parola chiave dell’imminente processo sul presunto canile lager, pronunciata con largo anticipo, nel 2012. Il procuratore Pignatone non aveva ancora messo il naso negli affari sporchi della capitale e la signora Pina Lacerenza in Parrelli, senza volerlo, forniva un prezioso indizio… ([email protected])

27 gennaio 2016 | 06:58

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