Il termine pet therapy è stato coniato dallo psichiatra americano Boris Levinson nei primi anni ’60 e letteralmente significa “terapia dell’animale da affezione”. Si tratta di una una pratica di supporto ad altre forme di terapia tradizionali che sfrutta gli effetti positivi dati dalla vicinanza di un animale a una persona: ci spiegano i suoi vantaggi le dottoresse Francesca Abellonio e Manuela Bergadano di ConTatto pet therapy, una squadra di professionisti che opera fra Cuneo e Torino.

Come funziona la pet therapy?

«Parliamo di pet therapy anche se il termine più corretto sarebbe Interventi Assistiti con gli Animali, che si svolgono non solo in contesti terapeutici ma anche educativi o ludici -spiega la dottoressa Abellonio -. Questi interventi funzionano grazie alla relazione che si instaura fra un animale domestico e un utente (bambino, anziano, persona malata etc…): una sintonia complessa e delicata che stimola l’attivazione emozionale e favorisce l’apertura a nuove esperienze, nuovi modi di comunicare, nuovi interessi. L’animale non giudica, non rifiuta, si dona totalmente, stimola sorrisi, aiuta la socializzazione, aumenta l’autostima e non ha pregiudizi. In sua compagnia diminuisce il battito cardiaco e calano le ansie e le paure. Inoltre, favorisce la piena espressione delle persone, che tra gli umani si riduce di solito solo al linguaggio verbale».

Chi ne trae maggiori benefici?

“Nella maggioranza dei casi – continua la dottoressa Abellonio – vengono attivati interventi con bambini, anziani, persone con disabilità o disturbi psichiatrici. Interagire con un animale può voler dire per un bambino sviluppare processi di apprendimento più rapidi e imparare a prendersi cura di qualcuno diverso da sé. Una bella occasione di crescita, perché l’animale ha per lui una grande valenza emotiva: accarezzarlo e coccolarlo provoca un gradevole contatto fisico e stimola creatività e capacità di osservazione».

Cosa cambia quando i bambini crescono? 

«Con ragazzi pre-adolescenti e adolescenti, il rapporto con l’animale può diventare invece il mezzo per stimolare vissuti e riflessioni su concetti importanti come il rispetto, la fiducia, la reciprocità: si usa ad esempio nei progetti di prevenzione al bullismo».

E per i ragazzi con disabilità?

«Un discorso a parte riguarda gli interventi per bambini e ragazzi con disabilità che grazie alla relazione con l’animale possono trovare nuovo entusiasmo e motivazione nell’affrontare piccoli compiti quotidiani e sperimentare una modalità facile e spontanea di interazione. L’importante è che ogni progetto sia costruito ad personam, valutando le esigenze specifiche dell’utente».

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Quali sono gli animali più indicati?

«Le Linee Guida Nazionali – afferma la dottoressa Manuela Bergadano – raccomandano di coinvolgere negli interventi solo animali da compagnia, quindi cani, gatti, conigli, asini e cavalli. Ogni animale deve essere certificato, deve avere requisiti sanitari e comportamentali, attitudinali e di capacità, valutati da un veterinario esperto in pet therapy. Requisito imprescindibile è la relazione tra il pet e il suo conduttore: solo questo legame permette la buona riuscita di un trattamento. Il conduttore è colui che lo ha addestrato e sarà presente in tutte le sedute di terapia. La nostra équipe lavora solo con cani, crediamo che per la loro storia comportamentale questi animali abbiano qualcosa in più rispetto agli altri».

Si può sostituire la pet therapy ad altre terapie?

«No. Si tratta di una co-terapia che non vuole sostituirsi psicoterapia, fisioterapia e soprattutto non può rimpiazzare la terapia farmacologica. Nasce e si sviluppa invece con l’obiettivo di essere una terapia aggiuntiva con lo scopo di facilitare e favorire un decorso positivo delle altre terapie in atto».

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Quanto è diffusa la pet therapy in Italia?

«Gli Interventi Assistiti con gli Animali sono diffusi in tutta Italia con una maggiore prevalenza nel centro Nord. Realtà che operano da tempo sono L’Ospedale Niguarda di Milano e il Meyer di Firenze, mentre la Delta Society in Lombardia e Antropozoa in Toscana sono associazioni riconosciute che lavorano in quest’ambito da più di dieci anni».

Quali sono le figure professionali di questa terapia?

«Le Linee Guida nazionali sottolineano l’importanza di un’équipe multidisciplinare: di solito ci sono un educatore professionale, un educatore cinofilo, psicologi, medici veterinari e altre persone che hanno il compito di supervisionare – afferma Francesca Abellonio -. È importante che in ogni seduta ci siano almeno due operatori, in modo da garantire un monitoraggio costante. Per quanto riguarda l’accesso alla professione, per ora non c’è nulla di regolamentato e chiunque può decidere di offrirsi con il suo pet a una struttura, mettendo a rischio sia gli utenti che l’animale. In Italia ci sono purtroppo tante associazioni che improvvisano corsi ma tante altre con esperienza pluriennale che offrono una formazione seria e completa. Ci sono anche Master di primo e secondo livello in Attività e Terapia Assistita con gli animali in diverse università come Pisa, Genova, Torino o Milano che offrono un titolo riconosciuto a livello nazionale. Chi vuole fare questo lavoro dovrebbe scegliere il il percorso formativo più serio, della durata minima di due anni e non di qualche weekend».

Fa bene avere in casa un animale da compagnia?

«Rispondo come dottoressa e come mamma, visto che ho due bambine di due anni, cresciute con due cani e un gatto. Il contatto diretto con l’animale offre tanti stimoli, Il bambino vive un’esperienza unica e sperimenta emozioni fondamentali per il suo sviluppo: l’attenzione, il rispetto, il tollerare e canalizzare l’aggressività. Nel mondo di oggi i bambini sono meno in relazione con il mondo animale rispetto al passato, un peccato visto la ricchezza emotiva che questi trasmettono. Ma attenzione a non confondere un cane con un baby-sitter: mai lasciare il bambino da solo con lui».

| ConTatto pet therapy

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