Non sono tanti i cani finora addestrati (soltanto 5), perché Daniela Cardillo – che dopo un’esperienza di un anno negli Usa da ragazza (occasione per scoprire metodologie che in Italia sarebbero arrivate soltanto anni dopo), si è laureata in tecniche di allevamento del cane di razza ed educazione cinofila a Pisa e poi si è specializzata all’estero, diventando membro del team internazionale riconosciuto dalla nota addestratrice Victoria Stilwell – antepone la qualità dell’addestramento alla quantità. Nulla di nuovo se non per l’Italia, peraltro, visto che negli Usa i cani anti-diabete fin dai primi anni ’90 sono equiparati a quelli per ciechi e da molti anni sono addestrati per il monitoraggio della glicemia: «In America – spiega Daniela Cardillo – si chiamano cani di assistenza per ciechi, per diabetici, per disabili: hanno le stesse preparazioni e certificazioni ufficiali, oltre che godere delle medesime agevolazioni fiscali».

«Una delle mie clienti – racconta la dottoressa Cardillo – era diabetica e aveva sentito che negli Usa addestravano i cani per il monitoraggio della glicemia. Quando nel 2012 Victoria Stilwell è venuta in Italia per un convegno, ho iniziato a interessarmi dell’argomento e a studiarlo».

Il segreto sta tutto nell’olfatto del cane: «Durante l’addestramento, si insegna a questi cani a riconoscere olfattivamente qual è la condizione del malato di diabete di tipo 1 (e soltanto di tipo 1), attraverso le variazioni dell’odore nella saliva. Se c’è una variazione, il cane attiverà un comportamento di segnalazione, con cui avverte la persona – o se si tratta di un bambino molto piccolo, un familiare – con un gesto che è stato deciso insieme».

Ci possono essere anche più tipologie di gesti da insegnare al cane, a seconda se la persona dorme o è in piedi: nel primo caso, ad esempio, l’abbaio e nel secondo caso il grattare la gamba della persona con la zampa. Ovviamente, il cane non sostituisce il pungi-dito, ma è un supporto in più, per esempio di notte quando il segnale di allarme del microinfusore potrebbe non svegliare la persona. Inoltre, il microinfusore può dare allarme per una serie di motivi, mentre il cane è addestrato a svegliare la persona soltanto in caso di abbassamento della glicemia. Di giorno, invece, il cane fa il monitoraggio dell’odore della saliva: «Sono due esercizi diversi: uno è per svegliare la persona di notte se non sente il suono del microinfusore, mentre di giorno il cane impara a sentire nell’aria l’odore di un’imminente ipoglicemia e avverte la persona».

L’addestramento è un percorso lungo, che dura un anno e che comporta anche un impegno in termini di tempo e di denaro per la famiglia. «Il cane – spiega Daniela Cardillo – può anche essere quello di famiglia, ma si deve comunque addestrare allo scopo: io nel primo incontro – che deve essere necessariamente di persona, eventualmente anche a domicilio – faccio una serie di valutazioni sul cane. Bisogna in particolare vedere se ha le capacità, l’intenzione, l’interesse e la motivazione. Se il cane è adatto e la famiglia vuole continuare, si comincia con l’addestramento, che varia di situazione in situazione».

In altre parole, può essere effettuato nel centro di Daniela Cardillo oppure a domicilio. Un percorso di un anno, «durante il quale si tengono incontri periodici da noi o dalla famiglia in alcune giornate di addestramento intensivo; poi la famiglia continua con l’addestramento a casa, ricevendo da noi il supporto da remoto attraverso i mezzi tecnologici (video, skype, telefonate). Più che altro, si tratta di esporre il cane alle varie ipoglicemie con campioni di saliva». Non esistono razze più portate per questo tipo di lavoro, perché ogni cane ha la capacità di sentire l’ipoglicemia, grazie al suo olfatto molto specializzato: «Magari escluderei le razze brachicefale, cioè quelle con il muso corto. Però nulla vieta di fare delle prove sul singolo individuo e vedere come se la cava».

Ma ad essere selezionati non sono soltanto i cani, ma anche le famiglie, che devono possedere una serie di caratteristiche: «La famiglia deve essere fortemente motivata, avere il tempo di fare tutto il percorso e possedere una predisposizione naturale nel vedere il cane come parte della famiglia». E deve anche avere una certa disponibilità economica, che varia a seconda degli spostamenti che deve effettuare l’addestratrice. In America questi cani sono riconosciuti, mentre in Italia no: cosa manca all’Italia? «In Italia manca prima di tutto una legge: quella dei cani guida per ciechi è obsoleta, quindi va modificata: ma ciò avviene quando c’è un’esigenza, e l’esigenza nasce quando si ha una consapevolezza. Quindi, come prima cosa si deve spiegare alle persone cosa può fare il cane, dopodiché nascerà l’esigenza di chiedere alle istituzioni una normativa ad hoc».

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