Questa è la storia di un fallimento. Il fallimento di una città, di una società, verso i suoi abitanti più deboli e indifesi. E anche il mio, che non sono riuscita ad aiutare Bianca e Gianni.

Li ho incontrati giorni fa, al mattino presto, all’incrocio tra via dei Serpenti e via Leonina, a Roma. Bianca, una bella cagnolona meticcia color miele, e Gianni, l’homeless con cui vive, originario dell’Ucraina. Io uscivo dal bar, Gianni cercava, senza riuscirvi, di spingere un carrello, uno di quelli del supermercato con dentro tutte le sue cose. Bianca lo guardava, scondinzolando ma visibilmente ansiosa. Non erano le sette e trenta del mattino, e l’uomo era già alticcio. Mi sono avvicinata, più preoccupata per il cane che per lui, come facciamo a volte noi privilegiati quando guardiamo le persone che vivono in strada e i loro cani con sospetto, giudicanti. La curerà? Gli darà da mangiare? Gli ho chiesto se avesse bisogno di qualcosa. Gli ho dato cinque euro, pur sapendo che li avrebbe spesi per la birra. «Mangia, sì?», ho chiesto indicando il cane, anche se conoscevo la risposta. Lui ha sollevato la coperta del carrello: c’erano tante scatolette.

Bianca stava bene, me n’ero già accorta da lontano. Il peso giusto, il pelo fitto, gli occhi limpidi. Che fosse ben tenuta era evidente. L’ho guardata, incerta se andarmene o no. C’era il libro in chiusura, dovevo tornare subito al pc. Ma non ho resistito.

Mi ha dato subito la zampa. Mi è salita addosso, quasi più alta di me, poi si è girata per farmi capire che voleva le pacche sul sedere. Io l’ho abbracciata, ho poggiato la mia fronte sulla sua. «Stai bene», le ho detto commossa. «Stai bene». E il tempo si è fermato. Intanto Gianni farfugliava: aveva cinque anni, l’aveva trovata cuccioletta sulla spazzatura, gliel’avevano tolta, per portarla al canile della Muratella, ma avevano dovuto ridargliela perché lei era sua. «Ha fatto anche le vaccinazioni», ha detto orgoglioso. E ho ripensato ai senzatetto di Rio de Janeiro, protagonisti, coi loro animali, di un documentario qualche tempo fa. E al rapporto privatissimo che s’instaura tra i homeless e i loro cani. Un legame psicologico ed emotivo dove l’uno è il sostentamento dell’altro, la sopravvivenza. Cani presi per difesa, certo, perché la notte in strada è dura, ma anche come compagni di vita. Molti senzatetto preferiscono restare digiuni piuttosto che non dare da mangiare al proprio cane, come ha documentato Leslie Irvine nel libro My Dog Always Eats First. E pur di non separarsene rifiutano di andare nei centri d’accoglienza, dove gli animali non sono ammessi quasi mai.

Rassicurata sul benessere di Bianca, mi sono interessata a Gianni, che era sempre più ubriaco. Si è avvicinato un ragazzo, gli ha chiesto una sigaretta. Ci ho messo un paio di minuti per capire che era un modo per tranquillizzarlo. Sebastian ha 17 anni, vive a Ostia e fa il quarto anno all’ITT Colombo di via Panisperna, nel quartiere. Di rado mi è capitato di incontrare un ragazzo più maturo. Insieme, abbiamo spinto Gianni a raccontarci la sua storia, scoprendo che era stato in carcere. A un certo punto si è messo a ridere freneticamente. «Incompatibile con la società. Incompatibile con la società», gridava. Lentamente abbiamo ricostruito. E mentre chi passava scuoteva la testa o addirittura sghignazzava, Gianni rideva e gli gridava, «Incompatibile con la società». E si capiva che voleva dire, “Se io sono incompatibile, voi allora?” Una signora, presa a compassione, mi ha chiesto cosa potesse fare. Le ho detto di prendere un panino con la cotoletta, che ci avrei pensato io. L’ho fatto tagliare a pezzetti, speravo che lo dividessero. Invece Gianni non ha voluto nulla, e non sembrava neanche apprezzare che dessi da mangiare a Bianca.

La situazione andava degenerando. Avvicinandoci, avevamo innervosito Gianni, che ora si era seduto per terra, praticamente sulla carreggiata, e prendeva quasi come sfida una bottiglia dopo l’altra dal carrello, scolandosele tutte. Forse temeva che gli togliessimo Bianca. E se nel tentativo di aiutare avevo peggiorato le cose? Ma come si può non fare nulla? Come si può passare oltre? Gianni potevo essere io, basta un rovescio di fortuna. È solo un caso che sia una privilegiata.

Bianca, intanto, inseguiva le auto che passavano. Anzi, non le inseguiva, vi si lanciava proprio addosso. In particolare contro quelle scure, SUV e furgoncini, forse per un trauma. Chissà se era stata abbandonata in questo modo. Mi si è stretto il cuore, ma soprattutto ero allarmata. Rischiava di essere investita, era già accaduto, mi ha raccontato Carola, operatrice ecologica assegnata alla zona. Non potevamo più aspettare, bisognava chiamare qualcuno. «E se gli tolgono il cane?», ho detto. Ma dovevamo far qualcosa. Gianni non connetteva più, Bianca era sempre più agitata, ed essendo ubriaco lui non cercava di fermarla, non si rendeva proprio conto del rischio che il cane correva a lanciarsi sulle auto.

Fare qualcosa, già, ma cosa? Al telefono con gli enti assistenziali, tutto un rimpallo di responsabilità. Al centralino del Comune mi hanno passato i vigili, ma quelli mi hanno letteralmente riso in faccia. «Non è di nostra competenza», e giù il telefono, due volte. Sconcertata, ho guardato Carola: «Non lo sai che fanno sempre così?», mi ha detto. A un certo punto, scorgendo un’auto della Polizia Municipale gli sono corsa incontro e li ho praticamente obbligati a fermarsi. «Sono una giornalista del Corriere della Sera», ho detto, sperando funzionasse. «Dovete aiutare quest’uomo e il suo cane». Ho spiegato che Bianca si lanciava contro le auto, sottolineando che poteva essere un pericolo non solo per sé ma anche per le macchine che, nel tentativo di evitarla, potevano sbandare. L’agente mi ha guardata, forse ha preso a compassione la mia ingenuità. Mi ha dato il numero del Pronto Intervento, pochi minuti e sono arrivati in quattro. Ero felice. Altri due, passati a prenderli, sono invece rimasti. Dai Bianca, dai che ce la facciamo.

Con pazienza, competenza, gli agenti hanno convinto Gianni a togliersi dalla strada, anche per il bene di Bianca. Uno di loro mi ha spiegato che doveva essere stato in carcere a lungo, si vedeva dai tagli sulle braccia. «Al loro Paese vanno in carcere anche per dei furtarelli, l’alcol è un modo per sopravvivere. Così, quando escono, sono fuori di testa».

Intanto i residenti si lamentavano. «Toglietelo di qui, che schifo, fa schifo ai clienti», ha urlato il proprietario di una trattoria, nonostante, essendo solo le 10, di clienti non ne avesse neanche uno. Volevo replicare, ma gli agenti mi hanno preceduta. Li avrei baciati in fronte. Poi quando gli animi sembravano calmati sono corsa al pet store dietro l’angolo, a comprare un guinzaglio per Bianca. Se l’avesse tenuta al guinzaglio, ci eravamo detti, sarebbe stata più sicura. Bianca ci camminava bene, le sembrava un gioco. Ma Gianni non voleva. Mi strappava il guinzaglio dalle mani, lo buttava in terra. Sembrava geloso. Non voleva che gliela togliessimo, ma neanche che la (li) aiutassimo. Mi sentivo persa.

Lentamente, siamo riusciti a far spostare Gianni nello spazio di fronte la chiesa. Lui ha preso il piumino dal carrello, lo ha steso in terra ed è crollato addormentato. Bianca gli si è sdraiata accanto, ha iniziato a leccarsi. Aveva le mestruazioni, non era sterilizzata. Adesso il senso d’impotenza era diventato enorme. E se fosse rimasta incinta? Come avrebbe potuto occuparsene Gianni? Intanto gli agenti avevano chiamato il NAE, Nucleo Assistenza Emarginati. Nella disperazione, quella sigla mi è sembrata la salvezza, ma non ci sono salvezze per gli homeless e i loro cani. Gli avrebbero proposto di andare in un ricovero, mi ha detto l’agente, ma lui avrebbe quasi certamente rifiutato. Per non lasciare il cane, per paura di essere assalito e derubato durante la notte, senza Bianca a difenderlo. Non ci sono ricoveri, a Roma, che accettino le persone senza casa e i loro cani, ponendoli davanti a una non scelta. Perché non ci si occupa degli ultimi? Perché non voler vedere che Gianni e Bianca potevamo essere noi?

Quando poi quelli del NAE sono arrivati, non erano affatto quello che speravo. Per prima cosa mi hanno chiesto i documenti, poi di andare via. «Adesso è tutto a posto, ce ne occupiamo noi». Io ero piuttosto scettica, sembravano più interessati alle mie generalità che ad aiutare un senzatetto. Ma non volevo creare ulteriori problemi a Gianni e Bianca, e ho fatto come mi hanno detto.

Sono tornata un paio d’ore dopo. Bianca e Gianni erano ancora lì, solo un po’ più in là. Forse lui aveva rifiutato l’aiuto, forse non gliene avevano dato affatto. Sono tornata a casa e ho pianto per ore. Quella sera, ho raccontato tutto a Carla Rocchi, presidente dell’ENPA. Mi ha consigliato di cercare di convincerlo a farla sterilizzare. Che l’avrebbero fatto gratis e con l’occasione avrebbero potuto tenere Bianca per la notte, visitarla, farle un bagno – se Gianni l’avesse permesso. Era una piccola speranza. Il mattino dopo sono tornata a cercarli, ma non li ho più visti.

Milo è anche su Twitter: @royalgattin

14 settembre 2018 (modifica il 14 settembre 2018 | 12:54)

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