SEATTLE. Una formula magica per restare giovani. Con al centro, strano a dirsi, un cane di nome Rufus. È passato a miglior vita nel 2009, eppure la sua influenza è cresciuta in questo angolo della città. Nel nuovo campus “verticale” di Amazon, tre grattacieli da quattro miliardi di dollari in pieno centro, il suo ricordo viene proposto come un mantra. Era il cane di uno dei primi dipendenti del colosso del commercio elettronico fondato da Jeff Bezos, che oggi serve 300 milioni di clienti nel mondo e ha un giro di affari da 136 miliardi di dollari. Divenuto la mascotte della compagnia, alla sua memoria sono dedicate le ben trentatré aree per lo svago dei cani dei dipendenti. E alcune si trovano sulle terrazze più belle con vista mozzafiato sulla città.Nel cuore di Amazon, la nuova sede del colosso hi-tech di SeattleNelle sedi dei giganti della Silicon Valley si insiste in maniera ossessiva sui colori sgargianti, sui flipper, le macchine da sala giochi e i tavoli da ping pong, per paura di invecchiare ed esser sorpassati dalla prossima startup di successo. Qui al contrario c’è il legno, la pietra scura, le vetrate. E vanno di moda i cani, ai quali recentemente si sono aggiunte le banane. I primi scorrazzano in gran numero fra atri e corridoi, le seconde invece fanno parte del nuovo volto benevolo della multinazionale e vengono distribuite gratuitamente a chiunque passi all’ombra dei grattacieli da trentasette piani. “Sono sane, fanno bene. Diamole a tutti” ha detto Jeff Bezos poco prima che decidesse l’acquisto della catena di supermercati Whole Foods Market, “affaruccio” da 13,4 miliardi di dollari concluso quest’anno. E così è stato: tredicimila banane al giorno per la cittadinanza.

L’unica zona interdetta agli eredi a quattro zampe di Rufus sono le tre grandi serre sferiche da seimila metri quadrati che ospiteranno un pezzo di foresta amazzonica, con tanto di piante carnivore, per permettere ai dipendenti di purificare la mente e rilassarsi. Ad Amazon vogliono rifarsi un’immagine e far dimenticare le tante figuracce collezionate negli anni. Ancora brucia il ricordo delle accuse mosse a più riprese e da più parti sulle condizioni di lavoro pesantissime applicate dall’azienda. “Non è la compagnia che conosco io” assicura Jeffrey Wilke, amministratore delegato di Amazon. com. Assieme a Andy Jassy è il più vicino a Bezos e tutti e tre sono amministratori delegati, caso più unico che raro, anche se a dettar legge è la parola del fondatore. Incontriamo Wilke in una sala al nono piano che si affaccia sulle tre serre quasi ultimate. Cinquant’anni, stretta di mano energica, sorriso garbato, e ovviamente stipendio milionario. “La mattina mi alzo con un solo pensiero fisso: i nostri clienti. Qui non guardiamo all’andamento delle azioni o a quel che dicono i giornali” sottolinea con un pizzico di sarcasmo. “Pensiamo solo a quel che potrebbe servire ai nostri clienti. Adottiamo un processo a ritroso: quando nasce un’idea viene raccontata in una sorta di comunicato stampa, come se il lancio sul mercato fosse imminente. Cerchiamo di immaginare tutte le domande che i giornalisti potrebbero fare. Se l’idea supera questo test cominciamo a realizzarla”. Così, quattro anni fa, è stato concepito Echo, l’altoparlante dotato di intelligenza artificiale che da Google ad Apple tutti stanno imitando. E lo stesso vale per Prime Now, le consegne nel giro di un’ora. Wilke e il circolo magico formato da una decina di vice presidenti anziani attorno a Bezos, di comunicati stampa futuribili ne vedono un centinaio all’anno ognuno. E li vagliano con attenzione. Perché la paura è sempre la stessa: il declino. Qualcuno potrebbe arrivare da fuori con un’i-di dea vincente ridimensionando i giganti di oggi. Meglio allora spingersi sempre oltre, fino a minacciare (apparentemente) il proprio stesso business. Per esempio consegnare non solo le proprie merci ma anche quelle dei concorrenti, in una corsa costante all’abbassamento dei prezzi e a servizi sempre più veloci e precisi, che alla fine ha come vincitore solo Amazon. Magari i margini si riducono, ma aumenta il numero dei clienti.

Ha funzionato: Amazon tre anni dopo la sua fondazione, nel ’97, aveva un milione e mezzo di persone che compravano sul suo sito e un giro di affari da 147 milioni di dollari. Venti anni dopo veleggia verso i 150 miliardi di dollari l’anno. Aiutata anche da certe scelte fiscali che ai grandi nomi dell’hi-tech piace adottare in Europa per eludere le tasse. “Le paghiamo tutte dove siamo presenti e continueremo a farlo anche se domani dovessero cambiare le leggi” obbietta Wilke. Che aggiunge: “I commercianti italiani nel 2016 hanno guadagnato 250 milioni di euro vendendo all’estero attraverso la nostra piattaforma “, suggerendo così l’idea che il colosso di Seattle non cannibalizza i piccoli ma anzi li aiuta ad aver successo sul mercato globale.

Chi di sicuro ha avuto successo è il cinquantatreenne Jeff Bezos, l’uomo più ricco al mondo assieme a Bill Gates, con un patrimonio personale di 90 miliardi di dollari circa. È lui che ha voluto la nuova sede, realizzata dallo studio di architettura di Seattle Nbbj. Ormai la compagnia è troppo grossa per continuare a fare la startup spezzettata in mille edifici. È la multinazionale con più dipendenti in assoluto da queste parti, ben oltre Microsoft e Starbucks. “Volevamo fosse parte della città e non in periferia lontana e isolata da resto del mondo” spiega John Schoettler che di Amazon gestisce l’immenso patrimonio immobiliare. Il simbolismo è diverso dalla Versailles della Apple, la fortezza circolare da sei miliardi di dollari appena inaugurata a Cupertino. E lo è per un motivo preciso: “la decadenza arriva quando ti adagi e ti isoli” dicono. Resta da vedere se basterà costruire grattacieli e serre in centro, ricordando i tempi pionieristici del cane Rufus, per evitare il rischio.

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