<< capitolo 10

di Alan Woods e Ted Grant

Oparin ed Engels

“Quel che non sappiamo oggi lo sapremo domani”. Questa semplice dichiarazione costituisce la base delle conclusioni di un opuscolo scientifico sull’Origine della vita, scritto dal biologo russo Aleksandr Ivanovic Oparin nel 1924. Fu il primo tentativo di approccio moderno all’argomento, che aprì un nuovo capitolo sulla comprensione della vita. Non fu un caso che, come materialista dialettico, Oparin studiò il problema da una prospettiva originale.
Era un inizio coraggioso, all’alba della biochimica e della biologia molecolare, e fu sostenuto, in modo indipendente, dal contributo del biologo britannico J. B. S. Haldane (anche lui un materialista) nel 1929. Questo lavoro diede origine alle ipotesi di Oparin-Haldane, sulle quali si basa la successiva comprensione dell’origine della vita.
Scrive Asimov:

(…) in esso il problema dell’origine della vita per la prima volta veniva considerato dettagliatamente da un punto di vista completamente materialista. [Poiché l’Unione Sovietica non è ostacolata dagli scrupoli religiosi ai quali l’Occidente si sente vincolato, questo, forse, non ci deve sorprendere].1

Oparin ha sempre riconosciuto il suo debito verso Engels, e non nascose mai la sua posizione filosofica:

Il problema dell’origine della vita è sempre stato al centro di un aspro conflitto ideologico tra due scuole filosofiche inconciliabili, l’idealismo e il materialismo. Una visione completamente diversa si apre di fronte ai nostri occhi se cerchiamo di avvicinarci alla soluzione del problema dialetticamente e non metafisicamente, sulla base dello studio dei cambiamenti successivi nella materia che precedettero l’apparire della vita e condussero al suo emergere. La materia non rimane mai ferma, si muove e si sviluppa in continuazione e in questo sviluppo essa cambia da una forma di moto all’altra e ad un’altra ancora, e ogni forma è sempre più complessa e armoniosa della precedente. La vita appare così come una forma di moto particolarmente complesso della materia, che nasce come una nuova proprietà a un determinato livello di sviluppo generale della materia stessa.
Già alla fine del secolo scorso Friedrich Engels aveva indicato che uno studio della storia dello sviluppo della materia è di gran lunga la via più promettente per avvicinarsi alla soluzione del problema dell’origine della vita. Tali idee tuttavia non ebbero un adeguato riscontro nel pensiero scientifico del suo tempo”.

Engels aveva essenzialmente ragione quando descriveva la vita come la forma di moto delle proteine. Oggi tuttavia possiamo aggiungere che la vita è la funzione delle reciproche reazioni tra acidi nucleici e proteine. Come spiegava Oparin:

Engels, come i biologi del suo tempo, usava spesso termini come «protoplasma» e «corpi albuminoidi». Le «proteine» di Engels non devono quindi essere identificate come le sostanze chimicamente distinte che noi siamo riusciti gradualmente a isolare dalla sostanza vivente e nemmeno come i preparati proteici puri formati da miscele di proteine semplici. Tuttavia Engels era notevolmente progredito rispetto alle idee del suo tempo quando, parlando di proteine, sottolineava in particolar modo gli aspetti chimici della materia e il importanza delle proteine nel metabolismo, quella forma di moto della materia che è caratteristica della vita.
Solamente ora cominciamo ad essere in grado di apprezzare il valore della notevole perspicacia scientifica di Engels. I passi in avanti fatti nella chimica delle proteine tuttora in corso ci danno la possibilità di definire le singole proteine come composti chimici (polimeri) costituiti da amminoacidi con strutture altamente specifiche”.2

J. D. Bernal ci offre un’alternativa alla definizione di vita data da Engels:

(…) la vita è una parziale, continua, progressiva, multiforme e condizionatamente interattiva autorealizzazione della potenzialità degli stadi elettronici degli atomi (…)“.3

Sebbene le ipotesi di Oparin-Haldane ponessero le basi per uno studio delle origini della vita, tanto da farne una vera e propria branca della scienza, è più corretto collegare questi studi alla rivoluzione biologica della metà di questo secolo.
Le teorie riguardanti l’origine della vita sono in gran parte speculative. Non ci sono tracce nei reperti fossili. Stiamo parlando delle più semplici e basilari forme di vita immaginabili, forme di transizione che hanno poco a che fare con l’idea che oggi abbiamo della materia vivente, ma che ciononostante rappresentano il salto decisivo tra materia inorganica e organica. Forse, come commenta Bernal, è più corretto parlare di origine dei processi della vita piuttosto che di origine della vita.
Engels spiegava che la rivoluzione darwiniana aveva

ridotta a un minimo la già profonda separazione fra il mondo inorganico e quello organico, e fu insieme eliminata una delle più essenziali difficoltà che si contrapponevano fino ad allora alla teoria della discendenza degli organismi.
La nuova concezione della natura era, nei suoi tratti essenziali, ormai completa: ogni rigidità era stata sciolta, ogni fissità era scomparsa: tutti i caratteri particolari ritenuti eterni erano divenuti caduchi; si era dimostrato che l’intera natura si muoveva in un perpetuo flusso”.4

Le scoperte scientifiche compiute da allora hanno rafforzato questa teoria rivoluzionaria.
Oparin giunse alla conclusione che l’atmosfera primordiale della Terra fosse radicalmente diversa da quella attuale. Ipotizzò che, in mancanza di ossigeno, le reazioni fossero di tipo riducente anziché ossidante. Oparin propose che i composti chimici dai quali la vita dipende si formarono spontaneamente in un’atmosfera di questo tipo sotto l’influenza delle radiazioni ultraviolette generate dal Sole. Haldane arrivò per conto proprio alle stesse conclusioni:

Forse il Sole era un po’ più luminoso di ora e, non essendoci ossigeno nell’atmosfera, i raggi ultravioletti chimicamente attivi provenienti dal Sole non erano, per la maggior parte, bloccati dall’ozono (una forma modificata, a tre atomi, della molecola dell’ossigeno) nell’atmosfera superiore, e dall’ossigeno stesso negli strati più bassi, come oggi succede. Penetravano fino alla superficie terrestre e marina, o almeno fino alle nuvole. In conseguenza di ciò, quando i raggi ultravioletti agiscono su una miscela di acqua, anidride carbonica e ammoniaca, si formano una grande varietà di sostanze organiche, inclusi gli zuccheri e, a quanto pare, alcuni dei materiali di cui sono costituite le proteine”.5

In una forma più generale Engels aveva indicato la giusta direzione cinquant’anni prima:

Quando, infine, la temperatura si livella in modo tale da non superare più, almeno in una zona considerevole della superficie, i limiti entro i quali l’albume può vivere, quando anche altre condizioni chimiche siano favorevoli, si forma il protoplasma vivente”.

E prosegue:

Possono essere passati millenni prima che si presentassero le condizioni necessarie per il successivo passo in avanti e prima che questo albume amorfo potesse dar luogo alla prima cellula con la formazione del nucleo e della membrana esterna. Ma con la prima cellula era posto anche il fondamento del processo di formazione di tutto il mondo organico. Dapprima si svilupparono, possiamo supporlo per analogia con quanto ci mostra tutto l’archivio paleontologico, innumerevoli specie di protisti cellulari e non, (…)”.6

Anche se questo processo ebbe luogo durante un lasso di tempo molto più lungo, l’ipotesi è fondamentalmente corretta.
Le idee di Oparin e Haldane furono ignorate dalla comunità scientifica del tempo, così come lo erano state quelle di Engels. Solo recentemente queste teorie hanno ricevuto l’attenzione che meritano. Richard Dickerson scrive:

Le idee di Haldane apparvero su Rationalist Annual nel 1929, quasi senza suscitare alcuna reazione. Cinque anni prima Oparin aveva pubblicato con effetti altrettanto scarsi una breve monografia che esponeva idee piuttosto simili sull’origine della vita. I biochimici ortodossi erano così fermamente convinti che Louis Pasteur avesse confutato una volta per tutte l’ipotesi della generazione spontanea da non considerare l’origine della vita come una legittima questione scientifica. Non si resero conto che Haldane e Oparin proponevano qualcosa di molto particolare: essi non sostenevano che la vita potesse tuttora evolversi dalla materia inerte (la teoria classica della generazione spontanea, improponibile dopo Pasteur), ma piuttosto che un tempo la vita si era evoluta dalla materia inerte grazie alle condizioni che prevalevano sulla Terra primitiva, in assenza di competizione con altri organismi viventi”.7

Come nacque la vita?

Nessuna questione ha per noi l’importanza della seguente: come hanno fatto delle creature viventi, dotate di sentimenti e della facoltà di pensare, a sorgere dalla materia inorganica? Questo enigma ha occupato il pensiero dell’uomo fin dalla sua apparizione e varie sono state le risposte. Possiamo in generale identificare tre correnti di pensiero:
1ª teoria: Dio ha creato la vita e quindi l’uomo.
2ª teoria: la vita è sorta dalla materia inorganica, per generazione spontanea, come i vermi dalla carne in putrefazione o gli scarabei dagli escrementi (Aristotele).
3ª teoria: la vita è giunta dallo spazio grazie a un meteorite caduto sulla Terra, e in seguito si è sviluppata.
La trasformazione dalla materia inorganica in organica è una concezione molto più recente, se paragonata alle altre. Al contrario, la teoria della generazione spontanea – la vita generata dal nulla – ha una storia molto lunga. L’idea della generazione spontanea viene dall’antico Egitto, dalla Cina, dall’India e da Babilonia ed è contenuta negli scritti degli antichi Greci. Oparin elenca così i “prodotti” attribuiti dagli antichi greci alla generazione spontanea:

Comuni vermi, larve di api e vespe, acari, lucciole e diversi altri insetti vengono generati, secondo Aristotele, da rugiada, letame, fango, legno secco, sudore e carne (…). Zanzare, mosche, tarme, farfalle, scarafaggi, pulci, cimici e pidocchi s’originano (in parte come tali, in parte come larve) dal fango dei pozzi, dei fiumi e del mare, dall’humus dei campi, da muffe e letame, da legno e frutta in putrefazione, da escrementi animali e immondizie di ogni specie, da fondi di aceto, come pure da lana vecchia (…).
Persino rane e in determinate condizioni anche salamandre possono formarsi dal fango rappreso; così pure i topi nascono dalla terra umida (…).
Questa credenza che esseri viventi derivino dalla materia non organizzata, deve essere considerata come risultato dell’osservazione diretta dei fenomeni naturali. La spiegazione filosofica di questi fenomeni andava di gran lunga oltre i limiti della teoria della generazione spontanea e contenevano i germi di tutte le concezioni che si svilupparono più tardi nella trattazione del problema dell’origine della vita”.8

Molto di tutto questo era legato a leggende religiose e a miti. Invece l’approccio dei primi filosofi Greci era di carattere materialista.
Fu la visione idealista di Platone (espressa anche da Aristotele) che attribuì alla generazione spontanea qualità sovrannaturali e in seguito fornì le basi alla cultura scientifica medievale, dominando il pensiero degli uomini per secoli. La materia non contiene la vita, ma ne è pervasa. Attraverso le scuole filosofiche greche e romane questo concetto fu preso in prestito e rielaborato dalla Chiesa cristiana primitiva per sviluppare la propria concezione mistica dell’origine della vita.
Sant’Agostino vide nella generazione spontanea una manifestazione della volontà di Dio, l’animazione della materia inerte da parte dello spirito creatore della vita. Come osservò Lenin, gli Scolastici e i Clericali si aggrapparono a tutto ciò che in Aristotele era morto e statico, non a ciò che rimaneva vivo. Il tutto fu poi sviluppato da Tommaso d’Aquino secondo gli insegnamenti della Chiesa Cattolica. Un punto di vista simile fu accettato anche dalle confessioni orientali. Nel 1708 il vescovo di Rostov, Dimitrii, spiegava che Noé non aveva raccolto sull’arca quegli animali capaci di generazione spontanea, “perciò essi perirono tutti nel Diluvio e dopo il Diluvio sorsero a nuova vita fin dall’inizio”. Questo era il pensiero dominante nella società occidentale fino alla metà del secolo scorso.
Il grande T.H. Huxley, in una conferenza tenuta a Edimburgo nel 1868, spiegò chiaramente per primo che la vita ha una comune base fisica: il protoplasma. Egli sottolineò che il protoplasma, dal punto di vista funzionale, formale e sostanziale, rimaneva identico in tutte le forme di vita. Dal punto di vista funzionale tutte le forme di vita rivelano un movimento, una crescita, un metabolismo e una riproduzione. Per quanto riguarda la forma tutti sono composti da cellule nucleate e, in sostanza, tutti sono fatti di proteine: composti chimici di carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto. Tutto ciò rivela chiaramente l’intima comunanza di tutte le forme di vita.
Lo scienziato francese Louis Pasteur, padre della microbiologia, in una serie di esperimenti riuscì finalmente a confutare la teoria della generazione spontanea. “La vita può venire solo dalla vita” dichiarava Pasteur. Le scoperte di Pasteur infersero un colpo mortale alla concezione ortodossa della generazione spontanea. L’ulteriore trionfo delle teorie evoluzioniste di Darwin obbligò i Vitalisti (coloro che sostenevano l’idea della “forza vitale”) a considerare l’origine della vita in un nuovo modo. Da quel momento in poi la loro difesa dell’idealismo si attestò sulle posizioni difensive di sostenere l’impossibilità di comprendere questo problema su base materialista.
Già nel 1907 in un libro intitolato Worlds in the Making (Mondi in costruzione), il chimico svedese Svente Arrhenius introdusse la teoria del panspermia, la quale affermava che se la vita non poteva generarsi spontaneamente sulla Terra, allora doveva necessariamente provenire da altri pianeti. Parlò di spore che viaggiavano attraverso lo spazio “seminando” la vita in altri pianeti. Con ogni probabilità, però, qualsiasi spora che entrasse nella nostra atmosfera, magari trasportata da meteoriti, si carbonizzerebbe. Per controbattere tale critica, Arrhenius ripiegò sull’argomento che la vita è eterna e non ha quindi origine. Ma l’evidenza contraddiceva le sue teorie, dato che fu dimostrato che l’esistenza dei raggi ultravioletti nello spazio avrebbe distrutto rapidamente qualunque spora batterica. Microrganismi selezionati per la loro resistenza furono posti all’interno della navicella spaziale “Gemini 9” nel 1966 ed esposti alle radiazioni spaziali. Sopravvissero sei ore. Più recentemente Fred Hoyle ha sostenuto che la vita è stata portata sulla Terra dalle code delle comete. Questa tesi è stata ripresa da Francis Crick e Leslie Orgel, che hanno ipotizzato che la Terra sia stata coscientemente seminata da forme di vita intelligenti provenienti dallo spazio! Teorie del genere non hanno comunque risolto nulla. Ammettendo che la vita sia giunta sulla Terra da altri pianeti, questo non risponde alla domanda: come è sorta la vita? Sposta solo le coordinate del punto di partenza, l’ipotetico pianeta d’origine.
Non è necessario viaggiare nel cosmo per trovare una spiegazione razionale dell’origine della vita. Le origini della vita sono da ricercare nei processi naturali in atto sul nostro pianeta, in condizioni molto particolari, tre miliardi e mezzo di anni fa. Questi processi non possono più ripetersi, perché organismi di quel genere sarebbero ora alla mercé delle forme di vita attuali che presto li distruggerebbero. La vita potrebbe nascere solo su un pianeta in cui non esista ancora e in cui ci sia poco ossigeno libero, poiché l’ossigeno si combinerebbe con i composti chimici necessari per formare la vita, distruggendoli.
L’atmosfera terrestre al tempo della comparsa della vita era costituita principalmente da metano, ammoniaca e vapore acqueo. Esperimenti in laboratorio hanno dimostrato che una miscela di acqua, ammoniaca, metano e idrogeno soggetta a radiazioni ultraviolette produce due amminoacidi semplici e tracce di più complessi. Alla fine degli anni Sessanta, fu scoperta la presenza di molecole complesse nelle nubi gassose nello spazio. È quindi possibile che, persino nel primissimo stadio di formazione della Terra, gli elementi per la comparsa della vita, o di qualcosa di simile, fossero già presenti sotto forma di amminoacidi. Esperimenti più recenti hanno provato senz’ombra di dubbio che le proteine e gli acidi nucleici, che sono la base di ogni forma di vita, potevano formarsi nel corso di normali trasformazioni fisico-chimiche che ebbero luogo nel “brodo” primordiale.
Secondo Bernal, l’unità della vita è parte della sua storia e, di conseguenza, della sua origine. Tutti i fenomeni biologici nascono, si sviluppano e muoiono secondo leggi fisiche. La biochimica ha dimostrato che tutte le forme di vita sulla Terra sono dal punto di vista chimico identiche. Nonostante le enormi variazioni tra le specie, il meccanismo di base degli enzimi, coenzimi e acidi nucleici compare ovunque, e allo stesso tempo forma un gruppo di particelle identiche che si mantengono unite grazie a un principio di autoassemblaggio nelle strutture più elaborate.

La nascita rivoluzionaria della vita

È chiaro che sulla Terra primordiale le cose non andavano come vanno oggi. La composizione chimica dell’atmosfera, il clima, la vita stessa si svilupparono attraverso un processo di cambiamenti convulsi, con balzi improvvisi e ogni tipo di trasformazione, tra cui anche processi involutivi. Lontana dall’essere lineare, l’evoluzione della Terra e della vita stessa è piena di contraddizioni. Il primo periodo della storia della Terra, detto archeano, durò fino a un miliardo e ottocento milioni di anni fa. All’inizio, l’atmosfera era composta principalmente di anidride carbonica, ammoniaca, acqua e azoto, e non c’era ossigeno allo stato libero. Prima di allora sulla Terra non c’era vita. Allora com’è sorta la vita?
Fino all’inizio del ventesimo secolo i geologi credevano che la Terra avesse avuto una storia molto breve. Soltanto gradualmente diventò chiaro che il pianeta aveva una storia molto più lunga e inoltre che tale storia era caratterizzata da incessanti e a volte catastrofici cambiamenti. Tale ipotesi è stata avanzata anche in relazione alla presunta età del sistema solare, che ora risulta essere notevolmente più vecchio di quanto si ritenesse in passato. I progressi della tecnologia dopo la Seconda guerra mondiale, in particolare la scoperta degli orologi nucleari, fornirono le basi per misurazioni di gran lunga più precise, le quali diedero inizio a giganteschi avanzamenti nella comprensione dell’evoluzione del nostro pianeta.
Oggi possiamo dire che la Terra si solidificò più di quattro miliardi e mezzo di anni fa. Per il pensiero comune questo può sembrare un periodo incredibilmente lungo, eppure, quando si tratta di tempi geologici, si entra in un ordine di grandezze completamente diverso. I geologi usano parlare di milioni e miliardi di anni così come noi parliamo di ore, giorni e settimane.
Si rese necessaria una differente scala temporale, capace di abbracciare tali periodi di tempo, le “prime” fasi della storia del pianeta, un convulso periodo che però rappresenta l’88% dell’intera vita della Terra. Paragonata alla storia del pianeta, l’intera storia del genere umano non è che un momento fugace. Purtroppo la scarsità di dati riguardo a questo lungo periodo ci impedisce una visione più dettagliata dei processi in atto a quei tempi.
Per capire l’origine della vita è necessario conoscere la composizione dell’ambiente e dell’atmosfera della Terra primordiale. Dato il probabile scenario secondo cui il pianeta si formò da una nuvola di polvere, doveva essere prevalentemente formata di idrogeno ed elio. Oggi la Terra contiene grandi quantità di elementi più pesanti, come ossigeno e ferro.
L’atmosfera attualmente contiene circa l’80% di azoto e il 20% di ossigeno, questo perché idrogeno ed elio fuggirono dall’atmosfera terrestre poiché l’attrazione gravitazionale era insufficiente a trattenerli. I pianeti più grandi dotati di una gravità maggiore, come Giove o Saturno, hanno mantenuto la loro densa atmosfera di idrogeno ed elio. Al contrario, la nostra piccola Luna, con la sua bassa forza di gravità, ha perso tutta la sua atmosfera.
I gas vulcanici che formavano l’atmosfera primitiva devono aver contenuto acqua, metano e ammoniaca. Si suppone che questi ultimi venissero rilasciati dall’interno della Terra. Ciò contribuì a saturare l’atmosfera e a produrre piogge. Con il raffreddamento della superficie terrestre, cominciarono a formarsi laghi e mari, che contenevano una sorta di “brodo” primordiale nel quale gli elementi chimici presenti, sotto l’effetto della radiazione ultravioletta proveniente dal Sole, furono sintetizzati in complessi composti azotati come gli amminoacidi. Tutto ciò costituisce la base dell’ipotesi di Oparin-Haldane.
Ad eccezione dei virus ogni forma di vita è organizzata in cellule, ma persino la cellula più semplice è un fenomeno estremamente complesso. La teoria corrente sostiene che il calore terrestre sarebbe stato sufficiente a far sì che da sostanze semplici se ne formassero altre più complesse.
Le prime forme di vita erano capaci di immagazzinare l’energia dei raggi ultravioletti provenienti dal Sole. Tuttavia, cambiamenti nella composizione atmosferica diminuirono il bombardamento dei raggi ultravioletti. Alcuni aggregati, che avevano sviluppato la sostanza chiamata clorofilla, furono in grado di utilizzare la luce visibile che riusciva a penetrare lo schermo di ozono che filtrava i raggi ultravioletti. Queste alghe primitive consumavano anidride carbonica ed emettevano ossigeno, generando la nuova atmosfera. Attraverso l’intero corso del tempo geologico, possiamo osservare la correlazione dialettica tra atmosfera e biosfera. Da un lato, la maggior parte dell’ossigeno allo stato libero nell’atmosfera derivava dall’attività biologica, attraverso il processo di fotosintesi delle piante; dall’altro cambiamenti nella composizione dell’atmosfera, in particolare l’aumento quantitativo dell’ossigeno libero, scatenarono gigantesche innovazioni biologiche le quali diedero a nuove forme di vita la possibilità di emergere e diversificarsi.
Come fece la prima cellula vivente a formarsi nel brodo primordiale di amminoacidi e di altre molecole semplici 4 miliardi di anni fa?
La teoria generalmente accettata, formulata nel 1953 dal premio Nobel Harold Urey e dal suo studente Stanley Miller, afferma che la vita sorse spontaneamente in un’atmosfera primordiale formata essenzialmente da metano, ammoniaca e altri composti attivati dai fulmini. Ulteriori reazioni chimiche avrebbero permesso a semplici composti organici di svilupparsi in molecole sempre più complesse, producendo finalmente la doppia elica del DNA, o il singolo filamento di RNA, ambedue in grado di trasmettere le informazioni genetiche.
La probabilità a sfavore di un simile evento, se esso dovesse essere accaduto in modo del tutto casuale, è altissima, come i creazionisti amano sottolineare.
Se l’origine della vita fosse stata un evento veramente fortuito, allora i creazionisti potrebbero segnare un punto a loro favore: sarebbe stato davvero un miracolo! La struttura di base della vita e dell’attività genetica in generale dipende da molecole incredibilmente complesse e sofisticate, il DNA e l’RNA. Per formare una singola molecola proteica sarebbe necessario combinare parecchie centinaia di amminoacidi (i “mattoni”) in base a un preciso ordine, un lavoro terribilmente complesso, persino in un laboratorio con le attrezzature più avanzate. La probabilità che tutto questo sia potuto accadere in qualche piccola tiepida pozzanghera è infinitesimale.
Questo problema è stato recentemente studiato dal punto di vista della “complessità”, una derivazione della teoria del caos. Stuart Kaufmann, nel suo lavoro sulla genetica e sulla complessità, ha avanzato l’ipotesi che un certo tipo di vita sorse come risultato dell’emergere spontaneo dell’ordine dal caos molecolare, in base all’azione delle leggi naturali della fisica e della chimica. Se il brodo primordiale fosse stato sufficientemente ricco di amminoacidi, non sarebbe necessario attendere reazioni casuali. Una catena di reazioni coerente e autorinforzante potrebbe aver luogo a partire dai composti del brodo.
Grazie alla presenza di catalizzatori, molecole diverse avrebbero potuto interagire e legarsi l’una all’altra per formare ciò che Kauffman aveva definito un “insieme autocatalitico”. In questo modo, l’ordine emerso dal caos molecolare si sarebbe manifestato come un sistema in crescita. Non era ancora la vita che conosciamo oggi, senza DNA, codice genetico, o membrana cellulare, tuttavia era dotata di certe proprietà caratteristiche della vita come la capacità di crescere. Doveva possedere un certo metabolismo e assimilare in modo continuo “cibo” sotto forma di amminoacidi e altri semplici composti, assorbendoli. Poteva persino conoscere una primitiva forma di riproduzione, estendendosi per diffondersi su un’area più vasta. Secondo questa idea (che rappresenta un salto qualitativo o, nel linguaggio della complessità, una “fase di transizione”) la vita non sarebbe sorta come evento casuale, ma come risultato di una tendenza insita della natura verso l’organizzazione.
I primi organismi animali furono cellule capaci di assorbire l’energia accumulata dalle cellule vegetali. L’atmosfera modificata, la scomparsa dei raggi ultravioletti e la presenza di forme di vita già esistenti impediscono oggi la nascita di nuove forme di vita, nonostante in laboratorio, con mezzi artificiali, sia stato possibile “ricreare” la vita. In assenza di rivali o predatori negli oceani, i primi composti si diffusero rapidamente. La formazione di una molecola di acido nucleico capace di riprodursi rappresentò un balzo qualitativo verso l’essere vivente. In questo modo, la materia vivente sorse dalla materia inorganica. La vita altro non è che il prodotto di materia inorganica organizzata in un certo modo. Gradualmente, nel corso di milioni di anni, cominciarono a diffondersi mutazioni, che diedero poi il via a nuove forme di vita.
Così possiamo arrivare a individuare l’età minima della vita sulla Terra. Uno dei maggiori ostacoli all’evoluzione della vita fu l’assenza dello schermo di ozono nella parte superiore dell’atmosfera nell’archeano. Ciò permise la penetrazione della superficie marina da parte delle radiazioni provenienti dallo spazio, raggi ultravioletti compresi, che inattivarono la molecola del DNA, portatrice di vita. I primi organismi viventi (i procarioti) erano unicellulari, ma erano privi di nucleo, quindi incapaci di divisione cellulare; comunque, erano relativamente resistenti ai raggi ultravioletti e, secondo una teoria, addirittura dipendevano da essi. Questi organismi furono la forma di vita predominante sulla Terra per un periodo di circa 2,4 miliardi di anni.
Le creature unicellulari si riproducevano in modo asessuato mediante gemmazione e fissione. Generalmente la riproduzione asessuata crea copie identiche se non si sviluppa una mutazione, il che è molto raro. Questo spiega la lentezza dei cambiamenti evolutivi durante quel periodo. Tuttavia, l’emergere della cellula nucleata (eucarioti) aprì la strada a una maggiore complessità. Sembra probabile che l’evoluzione degli eucarioti abbia avuto luogo da una colonia di procarioti. Alcuni moderni procarioti, infatti, possono invadere cellule eucariotiche e vivere al loro interno come componenti.
Alcuni organuli degli eucarioti hanno un proprio DNA, che deve essere rimasto loro in eredità dalla passata esistenza indipendente. La vita stessa ha certe funzioni fondamentali, come il metabolismo (il complesso dei cambiamenti chimici che avvengono nell’organismo) e la riproduzione e, se accettiamo il principio della continuità in natura, allora l’organismo più semplice dei nostri giorni deve essersi evoluto da processi ancora più semplici. Inoltre, le basi materiali della vita continuano a essere costituite dagli elementi più comuni nell’universo: idrogeno, carbonio, ossigeno e azoto.
Una volta comparsa la vita, essa stessa costituisce una barriera contro il ripetersi di tale fenomeno. L’ossigeno molecolare, un sottoprodotto della funzioni vitali, si origina dal processo di fotosintesi, durante il quale la luce è trasformata in energia.

La vita, o meglio gli organismi viventi che oggi esistono sulla Terra, son divisi in due grandi gruppi da lungo tempo conosciuti all’umanità: gli animali, che respirano ossigeno, e le piante fotosintetiche, che necessitano di luce per vivere. Gli animali possono vivere nell’oscurità ma hanno bisogno d’aria per respirare, sia sotto forma di aria libera che di ossigeno disciolto nell’acqua. Le piante non abbisognano di ossigeno, anzi lo producono esse stesse sotto l’azione della luce solare, ma non possono crescere a lungo nell’oscurità. Tra piante e animali, chi dunque apparve per primo? O forse qualche altra forma di vita li ha preceduti entrambi? Oggi sembra quasi certa questa seconda possibilità. Studi approfonditi sulla storia della vita, sulla biologia e anatomia cellulare, sul metabolismo delle piante e degli animali indicano che piante e animali sono discendenti specializzati e divergenti di zoofiti comuni. Questi zoofiti dovevano essere simili agli attuali batteri che possono nel medesimo tempo, svolgere sia funzioni delle piante che quelle di animali e comportarsi sia da agenti ossidanti che fotosintetizzanti”.9

Le prime forme di vita

È stupefacente rilevare fino a che punto i cromosomi di qualunque organismo vivente, dai batteri all’uomo, siano simili per composizione chimica. Tutti i geni sono costituiti dallo stesso tipo di sostanze chimiche, le nucleoproteine. Ciò è vero perfino per i virus, gli organismi più semplici che si collocano sulla linea di confine tra materia inorganica e materia vivente. La composizione chimica delle nucleoproteine permette ad un’entità molecolare di riprodursi – proprietà basilare di ogni forma di vita – sia nei geni che nei virus.
Engels osservò che l’evoluzione della vita non può essere compresa senza tener conto delle forme di transizione.

Le linee di confine rigide e nette sono incompatibili con la teoria dell’evoluzione; perfino la linea di separazione tra vertebrati ed invertebrati non è già più ben definita, tanto meno lo è quella tra pesci e anfibi, e quella tra uccelli e rettili scompare ogni giorno di più. Tra Compsognathus [rettile fossile somigliante a un uccello, Ndt] e Archaeopteryx [uccello fossile con denti, lunga coda ossea, ecc., Ndt] mancano solo, ancora, pochi tipi intermedi, e reperti fossili di becchi d’uccello con denti vengono ritrovati in entrambi gli emisferi. «O questo, o quello!» diventa sempre più insufficiente. Negli animali inferiori il concetto di individuo non può assolutamente essere definito in modo netto. Non soltanto non si può dire con certezza se un dato animale sia un individuo o una colonia, ma neppure dove, nella gravidanza, un individuo termini e l’altro cominci. A un grado tale della concezione della natura, in cui tutte le differenze si risolvano l’una nell’altra attraverso gradini intermedi e tutti gli opposti si trasformino gli uni negli altri attraversando stadi intermedi, il vecchio metodo di pensiero metafisico non basta più. La dialettica altresì non conosce linee rigide e nette, né incondizionati, definitivi «aut-aut» e, semmai, «sia questo che quello!» è l’unico metodo di pensiero appropriato ad essa nella sua istanza più elevata. Per l’uso quotidiano, per il commercio scientifico al minuto, la categoria metafisica conserva ancora, sì, la sua validità”.10
 
Le linee di demarcazione tra materia vivente e inorganica, tra piante e animali, rettili e mammiferi non sono così nitide come si potrebbe pensare. I virus per esempio formano una classe che non si può considerare “vivente” nel senso letterale della parola, eppure possiedono alcuni degli attributi della vita.
Quanto detto viene confermato da Ralph Buchsbaum:

I virus sono tra le più grandi molecole proteiche conosciute e molti di essi sono già stati disposti in forma cristallina in laboratorio. Anche dopo ripetute cristallizzazioni (un trattamento che nessuna sostanza vivente è mai riuscita a sopportare) i virus riprendono le loro attività e addirittura si moltiplicano quando ritornano a condizioni favorevoli. Sebbene nessuno sia mai riuscito a farli sviluppare in assenza di materia vivente, è chiaro che i virus colmano quel vuoto che si pensava esistesse tra materia vivente e materia inorganica. Non si può più dire che esista una netta e misteriosa distinzione tra materia vivente e materia inerte, ma sembra piuttosto ci sia una graduale transizione verso un grado di complessità maggiore.
Se immaginiamo che le prime sostanze che si diffusero sulla Terra fossero state simili agli odierni virus, non sarebbe difficile supporre che un’aggregazione di proteine simili ai virus forse abbia portato allo sviluppo di organismi batterici più grandi e indipendenti, che elaborassero il proprio nutrimento da sostanze semplici utilizzando l’energia solare.
Un tale livello di organizzazione si potrebbe paragonare alle odierne forme di batteri indipendenti, alcuni dei quali sono capaci di fotosintesi senza clorofilla usando invece altri pigmenti verdi o violetti. Altri utilizzano l’energia derivata dall’ossidazione di semplici composti di azoto, zolfo e ferro; per esempio, possono ossidare l’ammoniaca in nitrati e il solfuro di idrogeno in solfati, liberando energia che viene utilizzata per formare carboidrati”.11

L’intervallo relativamente breve intercorso tra la formazione del pianeta e il raffreddamento della sua crosta implica che il fiorire della vita si svolse in tempi sorprendentemente brevi. Stephen Jay Gould spiega che “la vita, con tutta la sua complessità, probabilmente sorse non appena ne fu in grado”.12 I microfossili di 3,5 milioni di anni fa sono, come ci si aspetterebbe, cellule procariotiche, cioè senza nucleo (metanogeni, batteri, e alghe verdi-azzurre). Vengono considerate le forme di vita più semplici apparse sulla Terra, sebbene anche a quel tempo fosse presente una certa diversificazione; ciò vuol dire che tra i 3,5 e i 3,8 miliardi di anni fa i nostri comuni antenati apparvero insieme ad altre forme di vita che successivamente si estinsero.
Nell’atmosfera del tempo era presente pochissimo ossigeno allo stato libero, ma gli organismi che esistevano allora non avevano bisogno di ossigeno; anzi, esso li avrebbe uccisi. Crebbero e si diffusero ossidando idrogeno e riducendo l’anidride carbonica a metano. Si è ipotizzato che tali organismi fossero simili alle cellule eocite che popolano gli ambienti caldissimi delle pozze di origine vulcanica, i quali ricavano la loro energia non dall’ossigeno, ma dalla trasformazione di zolfo in acido solforico.
Scrive Richard Dickerson:

Si può immaginare che, prima che le cellule viventi si evolvessero, gli oceani fossero popolati da schiere di «globuli» che svolgevano una speciale attività chimica, globuli che sopravvissero per lungo tempo e che poi scomparvero.
Quelli tra di loro che per puro caso contenevano catalizzatori capaci di favorire la formazione di composti «utili» furono in grado di sopravvivere più a lungo degli altri; la probabilità di sopravvivenza era positivamente correlata alla complessità e all’efficacia del loro «metabolismo». Per milioni di anni deve essere avvenuta una selezione chimica molto forte tra i diversi tipi di globuli dotati della capacità di prendere dall’ambiente esterno molecole ed energia per poi incorporarle sotto forma di sostanze che avrebbero promosso anche la sopravvivenza della loro prole generata per divisione del globulo stesso, una volta cresciuto troppo. Non si tratta ancora di vita, ma vi si avvicina molto”.13

A causa della mancanza di reperti fossili, è necessario esaminare l’organizzazione delle cellule moderne per fare luce sulla loro origine. Affinché le più semplici forme di vita possano riprodursi, occorre un apparato genetico contenente acidi nucleici. Se le cellule sono l’unità basilare della vita, possiamo essere quasi certi che gli organismi primordiali contenessero acidi nucleici o comunque polimeri molto simili. I batteri, per esempio, sono composti da una singola cellula e sono probabilmente il prototipo di ogni cellula vivente.
Il batterio Escherichia coli (E. coli) è così piccolo che si potrebbero stipare mille miliardi di sue cellule in un centimetro cubo. Dispone di una parete cellulare (membrana) che contiene all’interno le molecole essenziali; inoltre seleziona e assimila dall’esterno molecole utili. La membrana mantiene l’equilibrio tra la cellula e l’ambiente esterno. Il metabolismo principale avviene nella membrana, dove hanno luogo centinaia di reazioni chimiche che utilizzano le sostanze nutritive provenienti dall’esterno per la crescita e lo sviluppo. Il batterio E. coli si riproduce ogni venti minuti. Questa trasformazione unica all’interno della cellula è possibile grazie ad un gruppo di molecole chiamate enzimi, catalizzatori che accelerano le reazioni chimiche senza esserne alterati e lavorano continuamente per trasformare sostanze nutritive in prodotti.
La riproduzione è una funzione essenziale della vita. Quando avviene la divisione cellulare, vengono create delle cellule figlie identiche. Il meccanismo della duplicazione, per formare molecole proteiche con la medesima sequenza delle cellule originarie, è codificato negli acidi nucleici. La loro caratteristica peculiare consiste nel potersi duplicare automomamente, con l’assistenza di alcuni enzimi. Il DNA (acido deossiribonucleico) porta tutte le informazioni che servono per sintetizzare le proteine. Il DNA non può comunque fare tutto ciò direttamente, ma costituisce l’originale sul quale vengono stampate copie di RNA (acido ribonucleico) messaggero, le quali portano l’informazione della sequenza al sistema sintetizzatore. Questo è detto codice genetico. Gli acidi nucleici non possono replicarsi senza enzimi e gli enzimi a loro volta non si possono formare senza acidi nucleici; devono svilupparsi in modo parallelo. È probabile che nel brodo primordiale esistessero molecole di RNA che erano allo stesso tempo enzimi, le quali si svilupparono sulla base della selezione naturale. Questi enzimi RNA si unirono nella caratteristica struttura ad elica e diventarono la base per l’RNA autoreplicante. La replicazione genetica non è tuttavia immune da errori occasionali. Nel batterio Escherichia coli si verifica un errore su ogni 10 milioni di copie. Nel corso di milioni di generazioni tali errori, le mutazioni, possono produrre effetti minimi, ma a volte possono portare profondi cambiamenti negli organismi e, sulla base della selezione naturale, provocare la formazione di nuove specie.
Lo stadio evolutivo successivo della materia organica fu lo sviluppo di altri polimeri – combinazioni di molecole tra loro uguali. Occorreva una struttura che racchiudesse le molecole, una membrana cellulare semipermeabile. Le membrane cellulari sono strutture complesse in equilibrio tra lo stato solido e quello liquido. Minimi cambiamenti nella composizione della membrana possono produrre cambiamenti qualitativi, come spiega Chris Langton:

Disturbate una cellula anche leggermente, cambiate anche di poco la composizione del colesterolo, modificate in modo impercettibile la concentrazione degli acidi grassi, lasciate che una singola proteina si leghi con un recettore sulla membrana e produrrete giganteschi cambiamenti, cambiamenti biologicamente utili (…)”.14

La fotosintesi e la riproduzione sessuata

L’evoluzione della cellula costituisce uno stadio relativamente avanzato dell’evoluzione organica. Quando le ricche riserve contenute nel brodo primordiale cominciarono ad esaurirsi, divenne necessario reperire materiali organici idrosolubili nell’atmosfera. Dalla fermentazione, la più semplice (ma meno efficace) forma di metabolismo, si passò alla fotosintesi, grazie alla comparsa della molecola di clorofilla, la quale permise agli esseri viventi di catturare l’energia solare per sintetizzare molecole organiche. I primi organismi che utilizzarono questo meccanismo si affrancarono dalla lotta per accaparrarsi le molecole ricche di energia sempre sempre più rare nel brodo primordiale, per diventare essi stessi produttori primari. Una volta acquisito il processo fotosintetico, il futuro della vita fu assicurato. Non appena la diffusione della fotosintesi liberò sufficiente ossigeno, divenne possibile la respirazione. Secondo le leggi della selezione naturale, la fotosintesi lasciò il segno su tutte le successive forme di vita ed ebbe, indubbiamente, così tanto successo da cancellare tutte quelle preesistenti.
Questo sviluppo rappresenta un salto qualitativo. La successiva evoluzione verso forme più complesse fu un processo protratto che portò alla nascita di una nuova forma di vita, la cellula nucleata; in cima all’albero degli eucarioti molti rami appaiono simultaneamente – piante, animali e funghi.
Secondo il biologo molecolare statunitense Mitchell Sogin, la quantità di ossigeno condizionò il ritmo dell’evoluzione. La composizione chimica delle antiche rocce suggerisce che l’ossigeno atmosferico aumentò secondo fasi relativamente distinte intercalate da lunghi periodi di stabilità. Alcuni biologi ritengono che l’esplosione della vita potrebbe essere stata scatenata dal fatto che l’ossigeno avesse raggiunto un certo livello.
Le cellule nucleate (eucarioti) si adattarono completamente all’ossigeno presentando minime variazioni. L’emergere di questa nuova rivoluzionaria forma di vita permise lo sviluppo di una riproduzione sessuata avanzata, che a sua volta accelerò il ritmo dell’evoluzione. Mentre i procarioti consistevano di soli due gruppi di organismi – i batteri e le alghe verdi-azzurre (che producevano ossigeno attraverso la fotosintesi) – gli eucarioti sono rappresentati da tutte le piante verdi, da tutti gli animali e dai funghi. La riproduzione sessuata rappresenta un ulteriore passo in avanti. Questo tipo di riproduzione richiede che il materiale genetico sia concentrato all’interno di un nucleo. La riproduzione sessuata permette la mescolanza dei geni tra due cellule, cosicché la probabilità di variazioni diventa di gran lunga maggiore. Nel processo riproduttivo, i cromosomi delle cellule eucariotiche si fondono per produrre nuove cellule. La selezione naturale invece preserva le varianti genetiche favorevoli nel corredo genetico.
Uno degli aspetti chiave della vita è la riproduzione. Tutti gli animali e tutte le piante hanno le stesse strutture di base al loro interno. La riproduzione e la trasmissione dei caratteri parentali (l’ereditarietà) hanno luogo attraverso l’unione delle cellule sessuali: l’uovo e lo sperma. Il materiale genetico (DNA), attraverso il quale le caratteristiche delle forme di vita sono trasmesse da una generazione all’altra, è contenuto nel nucleo cellulare. La struttura cellulare che è composta dal citoplasma contiene anche un certo numero di organi in miniatura detti organuli. La struttura interna degli organuli è a sua volta identica a quella di alcuni tipi di batteri: ciò sembra indicare che la formazione delle cellule animali e vegetali sia il risultato di questi organi un tempo indipendenti, dotati di un proprio DNA, che cooperando formarono un insieme in simbiosi. Negli anni ’70 furono scoperti i microsomi, catene proteiche che riempiono ogni cellula come una specie di impalcatura. Questo scheletro interno dà forma alla cellula e sembra abbia un ruolo nella circolazione delle proteine e dei prodotti del citoplasma.
1,5 miliardi di anni fa l’avvento delle cellule nucleate (o eucariotiche) costituì una rivoluzione biologica. Dalla gemmazione e dalla fissione asessuata emerse la riproduzione sessuata. Un tale progresso servì a miscelare il materiale ereditario di due individui, affinché la prole differisse dai genitori. In ogni cellula animale e vegetale il DNA è distribuito in coppie di cromosomi nel nucleo; essi portano i geni che determinano le caratteristiche individuali. La nuova prole, pur combinando le caratteristiche dei suoi genitori, è sempre diversa da essi. Le origini della riproduzione sessuata sono probabilmente connesse a organismi primitivi che si ingerivano l’un l’altro; il materiale genetico dei due individui si fuse producendo un organismo con due serie di cromosomi. Esistevano cromosomi singoli e appaiati, ma col tempo la condizione appaiata divenne la caratteristica più frequente nel mondo animale e vegetale. Questo processo gettò le basi per l’evoluzione degli organismi pluricellulari. Circa 700-680 milioni di anni fa apparvero i primi metazoi, complessi organismi pluricellulari che richiedevano ossigeno per crescere. Durante questo periodo la quantità di ossigeno amosferico crebbe costantemente, raggiungendo il livello attuale solo 140 milioni di anni fa. I processi in atto nell’evoluzione hanno un carattere marcatamente dialettico, per cui lunghi periodi di graduali cambiamenti sono interrotti da improvvise esplosioni. Una di queste esplosioni si verificò 570 milioni di anni fa.

L’esplosione cambriana

Ci vuole un grosso sforzo di immaginazione solo per intuire quanto sia recente il fenomeno della vita complessa sulla Terra. Occorrerebbe immaginarsi la Terra costituita da rocce sterili continuamente spazzate dal vento, un pianeta in cui le forme di vita più complesse sono ciuffi di alghe e strane schiume in qualche pozzanghera. Così si è presentata la Terra per la maggior parte della sua esistenza. Per miliardi di anni lo sviluppo della vita fu esasperantemente lento. Poi, improvvisamente, questo mondo stagnante eruttò in una delle più drammatiche esplosioni della storia della vita. I reperti fossili rivelano una straordinaria proliferazione di molteplici forme di vita. L’emergere di animali dotati di corazza e scheletro ha permesso la preservazione dei reperti fossili di questo progresso in tavolette di pietra. L’esplosione di nuove forme di vita negli oceani si è accompagnata all’estinzione dei vecchi stromatoliti, la forma di vita dominante nel proterozoico. La comparsa di un gran numero di organismi pluricellulari trasformò per sempre la faccia della Terra.

Forse la cosa più notevole (e anche ciò che più rende perplessi) in merito ai reperti fossili fu il loro inizio – scrive F.H.T. Rhodes – i primi fossili apparirono in numero apprezzabile nelle rocce del basso Cambriano, depositatesi 600 milioni di anni prima. Le rocce precambriche sono invece quasi completamente prive di fossili, sebbene alcune tracce di antichi organismi siano state rinvenute anche in esse. La differenza tra le rocce formatesi nei due periodi è così grande che un paleontologo può cercare in strati precambrici apparentemente ricchi di reperti per tutta la vita e non trovare nulla (e molti l’hanno fatto), ma non appena si arriva al Cambriano, ecco una grande varietà di forme ben conservate, sparse in ogni regione della Terra e relativamente comuni. Questa è la prima caratteristica dei fossili comuni più antichi e per l’evoluzionista è un fatto sconvolgente. Invece di apparire gradualmente, con uno sviluppo ordinatamente dimostrabile, essi appaiono di colpo in una vera e propria esplosione geologica”.15

Nonostante il suo genio, Darwin fu incapace di interpretare l’esplosione cambrica. Aggrappandosi tenacemente alla sua concezione gradualistica dell’evoluzione, affermò che questo improvviso salto era solo apparente, ed era addebitabile all’incompletezza del registro fossile. Negli ultimi anni nuove e impressionanti scoperte nel campo della paleontologia hanno portato a un’importante revisione interpretativa dell’evoluzione. La vecchia idea dell’evoluzione come un processo ininterrotto di cambiamenti graduali è stata sfidata in particolare da Stephen Jay Gould, le cui ricerche tra i fossili del Burgess Shale (l’Argilla di Burgess, un importante sito fossile nella Columbia Britannica, Canada) hanno trasformato la paleontologia.
La vita si sviluppò non sulla linea retta di un ininterrotto progresso evolutivo, ma attraverso un processo descritto in modo appropriato da Stephen Jay Gould come un equilibrio “punteggiato” nel quale periodi di cambiamento improvvisi e catastrofici caratterizzati da gigantesche estinzioni, sono intercalati da lunghi periodi di apparente stabilità. Per 500 milioni di anni le linee di demarcazione tra le ere geologiche sono state segnate da tali e improvvisi sconvolgimenti, per cui la scomparsa di alcune specie aprì la strada alla proliferazione di altre. Questo è l’equivalente biologico dei processi geologici della deriva dei continenti e della formazione delle catene montuose. Tutto questo non ha nulla a che fare con quella volgare caricatura che vede l’evoluzione come un processo lineare di cambiamenti e adattamenti graduali.
Secondo la teoria classica di Darwin, l’emergere delle prime forme di vita pluricellulari complesse doveva aver seguito un lungo periodo di lento e progressivo cambiamento, che culminò nell’esplosione cambrica 500 milioni di anni fa. Le più recenti scoperte sostengono invece il contrario. Le ricerche di Gould e di altri dimostrano che per due terzi della sua storia – 2,5 miliardi di anni – la vita rimase confinata al più basso livello di complessità, sotto forma di cellule procariotiche, e nient’altro.

Passarono altri 700 milioni di anni dominati dalle più complesse cellule eucariotiche, senza peraltro traccia di aggregazione in organismi pluricellulari. Poi, in un batter d’occhio, geologicamente parlando, in 100 milioni di anni, saltano fuori tre tipi differenti di organismi animali, da Ediacara a Tommotian a Burgess. Da allora sono passati 500 milioni di anni di storie incredibili, trionfi e tragedie, ma non ha fatto la sua comparsa neppure un solo phila nuovo, né una nuova configurazione anatomica che possa essere aggiunta ai reperti di Burgess”.

In altre parole la comparsa di complessi organismi pluricellulari, la base della vita che conosciamo oggi, non fu risultato di una lenta e graduale accumulazione evolutiva di progressivi adattamenti, bensì ebbe luogo con un improvviso salto qualitativo. Fu davvero una rivoluzione biologica, nella quale

in un momento geologico alle soglie del Cambriano, praticamente tutti i moderni grandi phila fecero la loro comparsa con un gigantesco dispiegamento di esperimenti anatomici che poi in gran parte non sopravvissero”.

Durante il Cambriano, nove phila (le unità di base della differenziazione nel mondo animale) di invertebrati marini apparvero per la prima volta, compresi i protozoi, i celenterati (le meduse e gli anemoni di mare), le spugne, i molluschi e i trilobiti. Occorsero circa 120 milioni di anni prima che la serie dei phila degli invertebrati fosse completata. Contemporaneamente si registrò il rapido declino degli stromatoliti, che erano stati la forma di vita dominante per due miliardi di anni.

“I moderni animali pluricellulari fanno la loro prima apparizione incontestata nella documentazione fossile circa 570 milioni di anni fa, e con una vera e propria esplosione, non con un crescendo graduale protratto nel tempo. Questa “esplosione cambriana” segna l’avvento (almeno stando ai reperti diretti) di praticamente tutti i principali gruppi di animali moderni, e tutti all’interno dell’esiguo intervallo di tempo, geologicamente parlando, di qualche milione di anni”.16

Per S. J. Gould,

Non ci troviamo di fronte a una storia di progressi imponenti, ma a un mondo punteggiato da periodi di estinzioni di massa e di improvvisa comparsa di specie inframmezzati da lunghe fasi di relativa tranquillità”.17

E ancora:

La storia della vita non è uno sviluppo continuo, bensì una storia punteggiata da brevi episodi, a volte geologicamente istantanei, di estinzioni di massa e di successiva diversificazione. La scala di tempo geologica fissa le divisioni di questa storia, poiché sono i fossili a fornirci il criterio chiave nel determinare l’ordine temporale delle rocce. Le divisioni della scala geocronologica sono fissate in corrispondenza di queste principali puntuazioni, poiché le estinzioni e le rapide diversificazioni lasciano scansioni molto nette nella documentazione fossile”.18

Piante e animali

Durante il Cambriano e l’Ordoviciano – tra 570 e 440 milioni di anni fa – ci fu un impressionante aumento di graptoliti e trilobiti, e un’importante differenziazione nelle specie marine di tutto il pianeta, compresa la nascita dei primi pesci. Questo fu il risultato dell’esteso allargamento del fondo dei mari, specialmente dell’oceano Iapetus. Durante il Siluriano (da 440 a 400 milioni di anni fa) lo scioglimento dei ghiacciai provocò un notevole innalzamento del livello del mare. I mari poco profondi che coprivano parte dell’Asia, dell’Europa e del Nordamerica non erano una seria barriera alle migrazioni delle specie e, non a caso, questo fu il periodo nel quale le migrazioni marine raggiunsero il loro massimo.
A quei tempi c’era una peculiare distribuzione dei continenti. I continenti meridionali erano strettamente riuniti, formando così un proto-Gondwana (Africa, Sudamerica, Antartide, Australia e India), mentre il Nordamerica, l’Europa e l’Asia erano separate. C’era un piccolo abbozzo di oceano Atlantico (l’oceano Iapetus) tra Europa e Nordamerica, mentre il polo Nord si trovava approssimativamente nell’Africa nord-orientale. Successivamente, i continenti andarono alla deriva convergendo tutti nello stesso punto e originando un unico supercontinente, Pangea. Questo processo cominciò 380 milioni di anni fa, quando l’oceano Iapetus scomparve, dando inizio alla creazione del sistema montuoso caledoniano-appalachiano. Questo evento si concluse con la collisione del Baltico con il Canada, che unì l’Europa al Nordamerica. Inoltre una continua convergenza fece urtare l’angolo nord-occidentale di Gondwana col Nordamerica, creando una massa terrestre quasi ininterrotta che riuniva tutti i continenti.
Un aumento così massiccio della superficie emersa produsse per contro un rivoluzionario balzo nell’evoluzione della vita stessa. Per la prima volta, lungo le coste, una forma di vita tentò di muoversi dal mare verso la terra. Comparvero i primi anfibi e le prime piante terrestri. Questo fu il punto iniziale di una crescita esplosiva della vita animale e vegetale sulla terra. Questo periodo fu caratterizzato dalla scomparsa dell’ambiente caratteristico dei mari meno profondi e, conseguentemente, dall’estinzione o dal brusco declino di molte specie marine. Evidentemente, il mutamento ambientale aveva obbligato alcune specie a lasciare le aree costiere per la terraferma, o a morire. Alcune ce la fecero, altre no. La maggioranza degli organismi adattati alla vita dei bassi fondali marini o delle coste dei mari meno profondi si estinsero. Gli anfibi diedero origine in seguito origine ai rettili. Le prime piante terrestri subirono una crescita esplosiva, formando gigantesche foreste con alberi che raggiungevano i trenta metri di altezza. Molti dei depositi di carbone sfruttati oggi hanno avuto origine in questi tempi remoti, prodotti dai detriti organici accumulati in milioni di anni, che marcivano sul suolo su cui le grandi foreste preistoriche crescevano.
La logica formale affronta il mondo naturale con ultimatum del genere “o questo o quello”. Una cosa è viva o morta, un organismo è pianta o animale e così via. In realtà le cose non sono così semplici. Nell’Anti-Dühring Engels scrive:

Per esempio, per i casi della vita quotidiana, sappiamo e possiamo dire con precisione se un animale sia vivo o meno; ma, se indaghiamo con maggiore precisione, troveremo che alle volte questo è un problema estremamente complesso, come sanno molto bene i giuristi, che invano si sono tormentati per scoprire un limite razionale a partire dal quale la soppressione del feto nel seno materno è un assassinio; e del pari è impossibile stabilire l’istante della morte, poiché la fisiologia dimostra che la morte non è un avvenimento unico ed istantaneo, ma un fenomeno la cui durata è molto lunga”.19

Abbiamo già accennato alla difficoltà di classificare gli organismi più primitivi, come i virus che si collocano sulla linea di confine tra materia vivente e materia inorganica. La stessa difficoltà sorge a proposito della distinzione tra vegetali e animali. Le piante si suddividono in tre grandi categorie. La prima (Tallofita) comprende le forme più primitive, siano esse organismi unicellulari o colonie di cellule non strettamente organizzate. Questi organismi sono piante o animali? Si potrebbe sostenere che sono piante perché contengono clorofilla; esse vivono come piante.
In merito a ciò, Rhodes afferma:

Questa semplice risposta non risolve il nostro problema: come riconoscere un vegetale? Anzi, ci confonde le idee ancora di più, poiché invece di fornire una linea netta di demarcazione tra vegetali e animali, ci mostra una zona d’ombra in cui i due regni sembrano sovrapporsi. E così come i virus sono a metà strada tra materia vivente e materia inorganica, così queste tallofite sono sul confine non ben definito che separa i vegetali dagli animali.
Molti dei protozoi sono, come abbiamo visto, chiaramente animali; si muovono, crescono, assimilano cibo, espellono le proprie scorie proprio come fanno gli animali “riconosciuti” come tali. Ma ci sono alcune eccezioni che ci complicano la vita. Guardiamo per un momento al minuscolo organismo unicellulare Euglena, un abitante comune di stagni e fossi. Ha un corpo più o meno ovale, che si muove nell’acqua agitando un flagello; questa creatura può anche strisciare e fare movimenti simili a quelli dei vermi. In altre parole è capace di compiere i tipici movimenti animali, eppure contiene clorofilla e si nutre grazie alla fotosintesi.
L’Euglena è davvero una contraddizione vivente: contraddice molte delle nostre idee sulle differenze tra animali e piante e la contraddizione cresce, non perché non possiamo decidere a quale dei due regni essa appartenga, ma perché sembra appartenere ad ambedue. Altre forme che sono molto vicine all’euglena sono prive di clorofilla e si comportano come qualsiasi altro animale, usando il lungo flagello per nuotare, catturando e digerendo cibo e così via. L’implicazione di tutto ciò è chiara. Vegetali e animali sono categorie astratte create da noi, concepite e formulate per pura comodità. E per ciò, non ne consegue affatto che ogni organismo deve rientrare in uno o nell’altro gruppo. Forse l’Euglena è ciò che rimane dell’antico e primigenio gruppo di piccoli organismi acquatici che furono gli antenati di piante e animali. Non possiamo forse risolvere il conflitto considerando la presenza di clorofilla come fattore distintivo? Possiamo utilizzare come regola la presenza di clorofilla per definire un organismo «vegetale»? Purtroppo nemmeno questo funziona, perché alcune di queste Tallofite, i funghi, che in molti aspetti sono davvero simili a piante, non posseggono clorofilla. Di fatto questi funghi pongono un problema di collocazione, perché parecchie specie non presentano le caratteristiche tipiche delle piante (bisogno della luce solare, assenza di movimento), rimanendo comunque molto simili ai vegetali”.20

La diversità della vita pluricellulare rappresenta un ulteriore salto qualitativo nell’evoluzione della vita. Il cambiamento da organismi invertebrati a organismi con parti fortemente mineralizzate, quali possono essere osservati nel Burgess Shale, rappresenta lo sviluppo degli organismi più evoluti. Certe sostanze come sale e calcio sono assorbite nella struttura cellulare e nei tessuti delle creature marine, che hanno bisogno di secernerle. Nella cellula gli organuli attivi nel metabolismo o nella produzione di energia, i mitocondri, assorbono calcio e fosfati ed espellono il tutto sotto forma di fosfati di calcio. Questo minerale può essere depositato nelle cellule stesse o può essere utilizzato per costruire uno scheletro interno o esterno.
Lo sviluppo di uno scheletro di solito avviene attraverso la sedimentazione di cristalli minerali nelle fibre proteiche, il cui prodotto è chiamato collagene. Il collagene, che costituisce circa un terzo di tutte le proteine dei vertebrati, può essere formato solo grazie alla presenza di ossigeno allo stato libero. Il primo vertebrato sembra essere stato il Pikaia, una sorta di pesce rinvenuto nel Burgess Shale. Sembra che anche le ascidie furono un anello di congiunzione evolutivo tra quegli animali che vivevano fissati ai fondali marini e che ottenevano il loro cibo filtrando le sostanze nutritive dall’acqua, e i pesci che nuotavano liberamente. Questi pesci (gli Ostracodermi) erano coperti da scaglie che formavano una specie di corazza e non possedevano né denti né mandibole. Questo salto di qualità produsse nel Siluriano i primi vertebrati.
Fu in questo periodo (410 milioni di anni fa) che dalle branchie frontali si sono poi evolute le prime mandibole, che resero possibile la caccia di altri animali, e superflua l’assimilazione diretta delle sostanze nutritive dal mare. Dice Gould:

I primi pesci non possedevano mandibole. Come fu possibile che un espediente così complesso, formato da diverse ossa associate, si evolvesse praticamente dal nulla? In effetti «dal nulla» non esprime la realtà. Le ossa erano presenti nei nostri antenati, ma servivano ad un altro scopo, quello di sostenere le branchie appena dietro alla bocca. Erano molto adatte al loro compito respiratorio, erano state scelte solo per questo e non «sapevano» nulla sulla loro funzione futura. Col senno di poi queste ossa erano incredibilmente preadattate a diventare mandibole. Questo strumento così complesso era già assemblato, ma era usato per respirare, non per mangiare”.

Questo è un chiaro esempio, in termini marxisti, di presenza di elementi del nuovo all’interno del vecchio. I primi pesci dotati di mandibole, come gli Acantodii, o squali spinosi, diedero origine a molti tipi di pesci forniti di scheletro osseo. Da questi pesci si sono poi evoluti i primi vertebrati terrestri, gli anfibi. Continua Gould:

Come fece una pinna a diventare un arto utilizzabile sulla terra? Le pinne della maggior parte dei pesci sono composte da sottili raggi ossei paralleli che non sono in grado di sopportare il peso di un animale sulla terra. Ma un particolare gruppo di pesci d’acqua dolce che vivevano sui fondali (i nostri antenati) subirono l’evoluzione della loro pinna in un robusto asse centrale da cui si diramavano solo poche proiezioni. Era un’ammirevole forma di zampa preadattata, anche se all’inizio servì solo per muoversi in acqua, presumibilmente per fuggire lungo i fondali grazie a rapide rotazioni dell’asse centrale sul fondo.
In breve, il principio del preadattamento sostiene semplicemente che una struttura può cambiare la sua funzione in modo radicale senza che la sua forma cambi di molto. Possiamo superare il limbo degli stadi intermedi ammettendo che le vecchie funzioni continuino ad esistere mentre se ne stanno sviluppando altre di nuove”.21

L’Eusthenopteron aveva pinne muscolari e possedeva polmoni assieme alle branchie. Durante i periodi più secchi questi pesci si avventuravano al di fuori delle loro pozze d’acqua per respirare aria con i polmoni. Molti degli anfibi del carbonifero passarono gran parte del loro tempo sulla terra, pur ritornando in acqua per deporre le uova. Il successivo balzo evolutivo è rappresentato dalla nascita dei rettili, i quali trascorrevano tutto il loro tempo sulla terra e deponevano un minor numero di uova racchiuse in gusci di carbonato di calcio. Commentando questi salti qualitativi nell’evoluzione, Engels scrive:

Dal momento in cui accettiamo la teoria dell’evoluzione tutti i nostri concetti sulla vita organica corrispondono solo approssimativamente alla realtà. Altrimenti non ci sarebbe nessun cambiamento. Nel giorno in cui, nel mondo organico, concetti e realtà coincideranno completamente, finirà lo sviluppo. Il concetto di pesce implica una vita nell’acqua e una respirazione attraverso le branchie; come conciliare lo sviluppo del pesce ad anfibio senza rompere con queste categorie? E con queste categorie si è già rotto, dal momento che si conosce un’intera serie di pesci che hanno sviluppato ulteriormente le loro vesciche natatorie trasformandole in polmoni e possono respirare aria. Come, senza portare uno o entrambi i concetti in conflitto con la realtà, si può passare dai rettili che depongono uova ai mammiferi che danno alla luce i loro figli vivi? La realtà è che i monotremi sono un’intera sottoclasse di mammiferi che depongono le uova. Io stesso a Manchester, nel 1843, ho visto le uova dell’ornitorinco mentre un branco di ottusi si prendeva gioco di una tale sciocchezza – un mammifero che depone uova – ma ora è stato ampiamente provato!22

Estinzioni di massa

Il confine tra paleozoico e mesozoico (250 milioni di anni fa) rappresenta il periodo di estinzioni più massicce nell’intero registro fossile. Gli invertebrati marini ne furono particolarmente colpiti. Interi gruppi si estinsero, tra cui i trilobiti che avevano dominato gli oceani per milioni di anni. La vita vegetale non fu colpita seriamente, ma il 75% degli anfibi e oltre l’80% delle famiglie dei rettili sparirono. Oggi è stimato che quattro o cinque famiglie si estinguono ogni milione di anni. Alla fine del Paleozoico scomparve tra il 75 e il 90% delle specie. L’evoluzione passa anche per eventi catastrofici come questo. Ciononostante un tale processo di estinzioni di massa non rappresentò un passo indietro nell’evoluzione della vita. Al contrario, proprio questo periodo preparò un gigantesco sviluppo della vita sulla Terra. I vuoti lasciati nell’ambiente dalla scomparsa di tante specie diedero l’opportunità ad altre di sorgere, svilupparsi e dominare la Terra.
I fattori che influenzano la distribuzione, la diversità e l’estinzione delle forma di vita sono infinitamente vari. Inoltre, essi sono correlati dialetticamente. La stessa deriva dei continenti causa cambiamenti di latitudine e quindi climatici. Variazioni climatiche determinano cambiamenti ambientali che saranno più o meno favorevoli per i diversi organismi. La tolleranza alle fluttuazioni di temperatura e delle condizioni climatiche è fattore chiave in questo processo, poiché danno inizio alla diversificazione. Appare evidente che la diversificazione aumenta, generalmente, quanto più ci avviciniamo all’equatore.
La deriva dei continenti, la loro separazione e la loro collisione, tutti questi fattori cambiano le condizioni nelle quali le specie si sviluppano, dividendo un gruppo dall’altro. La divisione fisica produce nuove variazioni nell’adattamento, riflettendo i cambiamenti nell’ambiente. La frammentazione continentale contribuisce così a diversificare le forme di vita. I canguri sopravvissero solo perché l’Australia rimase precocemente isolata dagli altri continenti, prima dell’esplosiva nascita dei mammiferi che causò la scomparsa dei grandi marsupiali in tutti gli altri continenti. In modo simile, la distruzione degli oceani produsse estinzioni di massa di specie marine, e allo stesso tempo creò le condizioni per lo sviluppo di nuove piante terrestri e di animali; così avvenne quando si formò Pangea. La morte e la nascita sono dunque legate indissolubilmente nella catena dello sviluppo evolutivo e l’estinzione di una specie è la condizione primaria per la nascita e lo sviluppo di nuove altre, meglio equipaggiate a far fronte ai cambiamenti.
L’evoluzione delle specie non può essere considerata come un fatto isolato a sé stante, bensì come il risultato di una costante e complessa interazione tra diversi fattori; non solo l’infinito numero di mutazioni genetiche tra gli organismi viventi, ma anche i continui cambiamenti nell’ambiente: la variazione del livello del mare, la salinità dell’acqua, la circolazione delle correnti oceaniche, il rifornimento di elementi nutritivi negli oceani e, forse, persino fattori come l’inversione del campo magnetico terrestre, o l’impatto di grandi meteoriti. La dialettica azione reciproca di queste diverse tendenze è ciò che condiziona il processo della selezione naturale, che ha prodotto forme di vita molto più ricche, varie e spettacolari della più fantastica invenzione poetica.

Note

1. Asimov Isaac, Il libro della biologia, pag. 151., Nella nota 1 la parte tra parentesi quadra si trova nell’edizione inglese del testo di Asimov, ma non nella versione italiana! Che in un paese “cattolico” come l’Italia non si possa ammettere che l’ateismo in Unione Sovietica abbia contribuito allo sviluppo della scienza?
2. Oparin A.I., L’origine della vita sulla Terra,pagg. 367.
3. Bernal J.D., L’origine della vita, pag. 12.
4. Engels F., Dialettica della natura, pag. 46.
5. Haldane J. B. S., The Rationalist Annual, 1929.
6. Engels F., op. cit., pagg. 48-49.
7. Scientific American, 239 [1978].
8. Oparin A.I., op. cit., pagg. 9-10.
9. Bernal J.D., op. cit., pagg. 48 e segg.
10. Engels F., op. cit., pag. 165.
11. Buschbaum R., Animals without Backbones. Vol. 1, pag. 12.
12. Gould S. J., Il pollice del panda, pag. 163.
13. Scientific American, 239 [1978].
14. citato in: R. Lewin, Complexity, Life at the Edge of Chaos, pag. 251.
15. Rhodes F. H. T., The Evolution of Life, pagg. 77-78.
16. Gould S. J., La vita meravigliosa, pag. 18.
17. Gould S. J., Questa idea della vita, 1984 pag. 6 e segg.
18. Gould S. J., op. cit., pag. 51.
19. Engels,F., Anti-Dühring, 1950, pag. 28.
20. Rhodes F. H. T., op. cit.. pag. 138-139.
21. Gould S. J., Questa idea della vita., cit., pag. 98
22. Engels a Schmidt, Lettera del 12 marzo 1895.

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