imageLimitazioni alla ricerca e appelli disattesi: l’azienda spiega perchè si dice “costretta a interrompere gli investimenti in Italia”.

La multinazionale americana, specializzata nella fornitura di prodotti e servizi per la ricerca ad aziende farmaceutiche e università in Europa e nel mondo, annuncia la propria “sofferta decisione” di cedere l’azienda di Montichiari nel Bresciano (nella foto), un allevamento di cani beagle destinati alla ricerca biomedica che ha dovuto sospendere l’attività “a causa del recepimento restrittivo da parte dell’Italia della direttiva europea sulla sperimentazione animale”, si legge in una nota.

La multinazionale Usa punta il dito contro le “limitazioni che, seguendo la spinta animalista, sono state introdotte con il Decreto legislativo 26/2014 all’utilizzo degli animali per scopi scientifici,
rispetto a quanto viene disposto dalla Direttiva 2010/63/EU, al punto che – si ricorda – la Comunità europea ha avviato una procedura di infrazione contro il nostro Paese”.

“Questa Direttiva europea, frutto di una lunga riflessione e confronto con le principali organizzazioni coinvolte nel campo della ricerca, incluse le associazioni animaliste europee, con lo scopo di dare a tutti i Paesi uguali opportunità di ricerca e soprattutto di armonizzare l’allevamento e l’utilizzo degli animali garantendone il benessere – si sottolinea ancora – esclude espressamente che gli Stati membri adottino misure più restrittive di quanto disposto, a meno che queste non fossero già in vigore prima del novembre 2010, come invece ha fatto il nostro Paese con i divieti su allevamento di cani, gatti e primati, test su sostanze d’abuso e xenotrapianti.

“Al momento – prosegue la comunicazione -l’Italia ha già ricevuto da Bruxelles la comunicazione di messa in mora (primo stadio della procedura di infrazione che prevede le sanzioni economiche) e i numerosi appelli provenienti dalla comunità scientifica italiana, che evidenziano come purtroppo non esistano tuttora metodi alternativi alla sperimentazione animale e seriamente
preoccupata di vedersi tagliata fuori dallo scenario della ricerca internazionale, sono rimasti disattesi”.

Marshall, “costretta a sospendere l’attività dell’allevamento e a lasciare a casa i dipendenti di Green Hill, dopo questo recepimento restrittivo ha atteso pazientemente oltre 2 anni che l’Italia si
allineasse alla normativa europea, come hanno fatto tutti gli altri Stati membri, continuando a investire anche nel nostro Paese in attesa della dovuta modifica al decreto 26/2014, che tuttavia non è ancora stata eseguita”.

Una “situazione paradossale” che “non sembra destinata a risolversi in tempi ragionevoli” e che “penalizza anche tutto il mondo della ricerca biomedica made in Italy”, perché “per validare i propri studi gli enti di ricerca italiani sono obbligati a utilizzare gli animali che però  non possono essere allevati in Italia, rendendo inoltre più difficile garantirne il benessere”. (AdnKronos Salute)

Foto: giornaledibrescia.it

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