Per diversi milioni di anni tiranneggiò sulla superficie terrestre, terrorizzando le sventurate creature che incontrava lungo il suo cammino: al pari di altri celebri teropodi “killer” storici, il Tirannosaurus Rex doveva il suo grande successo a quella dentatura fortissima, specializzata nel distruggere la carne e nel masticare le ossa degli altri grandi rettili. Ma quei denti, strettamente serrati, non avevano soltanto delle punte aguzze, simili a quelle di un seghetto, che tagliavano qualunque cosa: essi erano infatti strutturati in un modo tale da aumentare la potenza e migliorare la funzionalità della vorace masticazione dei predatori. In che modo? Lo spiegano i ricercatori Kirstin Brink e Robert Reisz della University of Toronto Mississauga in un articolo pubblicato da Nature Scientific Reports.

Il T. Rex e i sui fratelli

I campioni dentali provenienti da otto carnivori teropodi disseminati in diversi musei del territorio – tra cui il T. Rex, l’Allosauro, il Celofisio e il Gorgosauro – sono stati analizzati dagli scienziati ricorrendo ad un microscopio elettronico a scansione, estremamente potente, e ad un sincrotrone, ossia un acceleratore di particelle che può essere usato come un microscopio in grado di rilevare la composizione chimica delle sostanze.

Denti seghettati in profondità

È stato così possibile osservare in maniera dettagliata quella struttura seghettata, scoprendo che caratterizzava i denti anche in profondità: tale caratteristica distingue i teropodi dagli altri animali carnivori ed ha, senza dubbio, costituito un fattore fondamentale perché questi animali prosperassero sulla Terra per circa 165 milioni di anni. L’aspetto decisamente interessante è che questa caratteristica non si sviluppava in risposta alle abitudini predatorie dei terapodi ma era diffusa sia tra gli esemplari giovanissimi sia tra quelli più anziani; e, evidentemente, rendeva il T. Rex e i suoi parenti ancora più efficienti di quanto ipotizzato fino ad oggi nello gestire le proprie prede.

L’erede del T. Rex

Il periodo dei grandi rettili – si sa – si è concluso circa 65 milioni di anni fa, ragion per cui quei terrificanti bestioni ci sono noti soltanto attraverso le loro fattezze ossee (anche se c’è chi coltiva il sogno di riportare in vita i dinosauri). Ma – hanno spiegato i ricercatori – esiste una creatura terrestre tutt’ora vivente, e altrettanto spaventosa, che conserva nei propri denti la stessa caratteristica dei terapodi: si tratta del Varanus komodoensis, meglio noto come drago di Komodo.

Profilo del drago di Komodo

in foto: Profilo del drago di Komodo

Questo rettile, diffuso in alcune isole indonesiane, ha dimensioni ragguardevoli (può raggiungere fino ai 3 metri di lunghezza) e fama decisamente sinistra: alcune ricerche degli ultimi anni avrebbero già evidenziato che potrebbe essere una specie rappresentante di quelle creature che si estinsero con la fine del Cretaceo. In effetti, oggi, il drago di Komodo domina decisamente nei territori insulari in cui vive: anche se la riduzione del suo areale ha portato l’IUCN ha includerlo tra le specie vulnerabili.

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