Da quando e perché alcuni cani non camminano più? Quelli di piccola taglia, quasi dei giocattoli (alcune razze, come il barboncino, difatti sono chiamati anche toy) li si incontra assai sovente in braccio ai padroni. Oppure sbucano dalle apposite borsette. Oppure se ne stanno dentro a passeggini – forse riciclati da nipotini cresciuti, a meno che non esistano trabiccoli originali per quattrozampe. Nulla quaestio se la bestiolina soffre di difficoltà deambulatorie. Ma se l’esserino può camminare, perché non farlo camminare? Si stanca? Suda e poi s’ammala? Si sporca?

Le facce dei cagnetti (non i musi, perché ormai hanno perso i connotati animaleschi) dicono molto. In apparenza sono felici, di una felicità assoluta, perfetta, inattaccabile. Anche le loro zampe che dondolano penzoloni dalle braccia del padrone comunicano beatitudine, tranquillità, pace. Ti guardano comunicando una consapevolezza profonda: “Non vorrei stare da nessun’altra parte se non qui, in questo momento”. Deve essere una bella sensazione, raramente può capitare nella vita di sentirsi così, per noi umani. Ma sarà davvero così?

E se invece fossero disperati, per vedersi negate le tipiche attività canine: zampettare, odorare le tracce degli altri cani, raccattare con la bocca sassi e pezzetti di legno e cartacce e risputarli quando ci si accorge che sono del tutto privi di interesse, stravaccarsi casualmente appena il padrone si ferma davanti ad una vetrina, abbaiare e fingere di attaccare gli altri cani, annusare il deretano degli altri cani e grattarsi, grattarsi e rigrattarsi. E se si sentissero ridicoli ad indossare i cappottini o tutine con il cappuccetto, prigionieri di vestitini soffocanti, così come soffocante è l’amore dei loro padroni? Cani-pupazzo, cani-bambolotto, cani-surrogati di bambini, amati tanto più degli umani che non ci stanno a trasformarsi in pupazzi o bambolotti, quale che sia l’affetto provato per il compagno. Il premio Nobel Konrad Lorenz scrisse: “Il semplice fatto che il mio cane mi ami più di quanto io ami lui è una realtà innegabile, che mi colma sempre di una certa vergogna.”

E poi ci sono i cani alla catena. Nelle cascine capita di vederne ancora, e tanti. Legati a lacci a volte dolorosamente troppo corti, brutti e sporchi, abbaiano incattiviti a qualunque cosa si muova, esposti estate e inverno alle intemperie. Come accade anche per noi, tutto è determinato dal caso. Se sono fortunati, nascono cagnetti di razza in allevamenti certificati, acquistati da persone che li vizieranno per tutta la vita. In caso contrario, li aspetta una vita di privazioni: poco movimento, e anche per loro vietate le cose da cani, mangiare dormire e soprattutto sporcare tutto nel giro di pochi metri e nessuna possibilità di sperimentare odori nuovi.

Una persona che vive in campagna mi raccontò che loro i cani li tenevano legati per il loro bene, perché altrimenti sarebbero scappati: “Abbiamo avuto tanti cani ma hanno fatto tutti una brutta fine. Infatti se non li incatenavamo, scappavano. Di solito finivano sotto le macchine. Uno invece lo abbiamo trovato legato davanti alla farmacia del paese a qualche chilometro più in là. Si vede che qualcuno lo aveva trovato e lo aveva mollato li. Mio padre era quello che li portava a casa e mia madre quella che li sotterrava. Di recente ci è sparito l’ultimo, aveva appena un anno. Mio padre ha trovato delle tracce di sangue poco lontano dalla cascina. Mia madre si prepara a sotterrarne un altro”.

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