Il privilegio di essere solo vita per tutta la vita

Sviluppatasi in epoche di forte mutamento culturale culminanti con la nascita di una mentalità ecologista, la sensibilità ambientale portò al riconoscimento della condizione animale come paradigma interpretativo dell’esistenza delle creature non umane. Più in generale il rapporto uomo-animale come sorgente di modelli di civilizzazione, determinava un passaggio da una cultura di disposizione piena della vita delle creature non umane ad un riconoscimento dell’organizzazione, specificità e dignità di una storia del vivente capace di proporre un senso che spettava a noi umani interpretare correttamente al di là di ogni abuso o semplificazione. La scoperta della condizione animale avveniva all’interno delle normali lotte per l’attribuzione di diritti ai gruppi sociali che ne erano privi e fu proprio nella fattispecie dell’attribuzione di diritti che prese forma questa grande trasformazione nei rapporti tra condizione umana e naturale. Qualcuno sostenne che dando tangibile riconoscimento alla condizione animale fuori di sé, l’essere umano tardo-moderno rinunciasse lucidamente alla valorizzazione normativa della condizione biologica dentro di sé, sottolineando il dominio delle ragioni della storia su quelle del vita (della cultura sulla natura) e ricercando un ulteriore pretesto per consegnarsi all’ordine socio-culturale da lui costruito che ne definiva del tutto il destino evolutivo sulla terra sottraendolo alle dinamiche selettive di quei processi evoluzionistici che anche a Papa Giovanni Paolo II° fecero dire che la teoria di Darwin era molto più di una teoria. In un volume collettivo di qualche anno fa il filosofo Massimo Cacciari sosteneva che, anche se in modi diversi, tutte le civiltà hanno immaginato nell’animale la loro grandezza e la loro miseria. In altro modo, il filosofo Felice Cimatti afferma che nonostante gli animali siano nelle nostre case noi non riusciamo propriamente a capire la loro realtà; siamo sorpresi ed affascinati dalla loro non-umanità, ma continuiamo ad ignorare l’animalità che loro, facendosi amare, ci invitano a valorizzare come dato originario. Chiunque abbandoni un animale rischia di risponderne penalmente in base all’art. 727 del Codice Penale (si va da un anno di arresto ad un’ammenda che varia dai 1.000 ai 10.000 euro). Studi recenti sul fenomeno dell’abbandono di animali stabiliscono che le principali motivazioni sono da ricondurre a cucciolate indesiderate, cambi di domicilio, perdita del lavoro, allergie di qualche membro della famiglia, ricovero in ospedale del proprietario o nascita di un figlio. Le ragioni degli abbandoni tendono a cambiare nel tempo con un aumento dei fattori economici alla base di tali decisioni. La relazione con l’animale domestico ha radici biologiche profonde che coinvolgono meccanismi comportamentali e sociali in cui l’uomo è un accudente che rende il suo animale soggetto di attenzioni e proiezioni. Che la valutazione culturale del rapporto con l’animale dica molto della qualità relazionale tra esseri umani all’interno di una data epoca è risaputo e che prendersi cura degli animali sia un pregio e non un difetto appare ovvio, anche se spesso vi sono eccessi che rivelano realtà più complesse. E’ il caso di quelle persone che sviluppano un attaccamento morboso nei confronti degli animali da affezione, trovando più facile sviluppare empatia nei loro confronti piuttosto che verso gli esseri umani. Persone che nulla ci comunicano – dentro involucri espressivi stereotipi e regolati – possono mostrare una grande carica sentimentale per gli animali domestici perché nell’interazione uomo-animale si enfatizzano l’ingenuità, e l’affettività spontanea quanto incondizionata di cani e gatti, con gli incoercibili sentimenti di tenerezza che evocano. Così, quando gli animali vengono antropomorfizzati, le frustrazioni degli umani sono compensate di fronte alla fedeltà indiscutibile dei loro amici a quattro zampe. Dall’altro lato, va rimarcata l’assurda violenza dell’abbandono. I luoghi scelti per l’abbandono sono spesso non-luoghi, situazioni di traffico, percorrenze anonime, ecc. che cancellano rapidamente le tracce dell’infamia con una strada, un parcheggio o un’area di sosta che consentono facilmente di cancellare il ricordo dell’emozione affidata ad una creatura che abitò la nostra vita. Nell’abbandono si muta rapidamente un essere vivente in oggetto, con un golpe emotivo lucidamente agito, un crimine della coscienza che coinvolge gli altri dentro un contagio di responsabilità, moltiplicando a danno del povero animale l’evidenza di un’incapacità affettiva. L’animale domestico, al momento dell’abbandono aspetta ansioso il suo padrone, fiducioso nei primi minuti e poi deluso da chi credeva amico. Quando l’animale si rende conto di essere stato abbandonato, subentrano le fin troppo note cronache estive. Qui possiamo solo immaginare il prevedibile percorso a ritroso che l’animale è costretto a fare nella vicenda evolutiva della sua domesticazione. Chi abbandona lo fa anche nelle adiacenze di chi ama gli animali domandando di prendersi cura anche delle proprie, inesistenti, capacità di amare gli animali. Quella incapacità rivela un pericoloso scricchiolio nella valutazione della realtà emozionale dell’esistente; è da questo lato che la violenza sugli animali sa essere, di epoca in epoca, un fedele indicatore della tenuta culturale dei rapporti tra ragione e sentimento, bios-logos, amore e morte. Chi ama gli animali e ne riceve surrettiziamente un altro abbandonato, viene posto nella difficile alternativa di sperimentare comunque quella violenza dell’abbandono che ha sempre rifuggito nella relazione di accudimento con i propri animali. Infame è profittare dell’abbondanza di un sentimento per metterlo contro sé stesso costringendo chi vive la dignità della propria ricchezza sentimentale a sperimentare proprio ciò da cui ritiene giusto guardarsi. L’innocenza saggia degli animali sta ben oltre queste situazioni ricorrenti e ci interroga forte e gaia, termometro autentico di un senso della vita situato prima di ogni socialità e di ogni diritto. E’ appena il caso di ricordare l’emergenza dei branchi di cani abbandonati e re-inselvatichiti, restituiti ad una istintualità ferocemente orgogliosa del proprio abbandono, oppure – sul versante opposto – le vicende di cani che, perdendo i lori padroni, si lasciano morire sulla loro tomba mostrandosi campioni di quella vita capace di svelare la sua forza solo a chi vuole vedervi il tempo propizio per un amore autentico. L’animalità reificata ed offesa, celebrata ed amata è uno specchio implacabile delle capacità/incapacità umane di mostrarsi degne del posto attribuitesi nell’ordine del vivente.

Rossano Buccioni

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