Chi ama gli animali ricorderà le foto emozionanti di tanti cuccioli che venivano passati di mano in mano attraverso il filo spinato di una recinzione. Un’azione di militanti animalisti come mai prima era accaduto. Accadeva a Montichiari (Brescia) nel luglio 2012. Quel giorno l’Italia scoprì Green Hill, dove si allevavamo beagle da vendere alla sperimentazione animale. Venne poi un’inchiesta della magistratura, con sequestro dell’allevamento e dei cani. Un e-book del nostro giornalista Francesco Grignetti (Vita da cavia, e-letta edizioni digitali, euro 3,99) racconta come è finita quella storia. Con la Cassazione che rende definitive tre condanne e stabilisce un principio rivoluzionario nella sua semplicità: anche i cani allevati per un fine atroce quale la vivisezione, hanno diritto alla loro vita da cani. Ne anticipiamo un capitolo. 

«…Nei quattro capannoni di Green Hill non c’è traccia di aree di isolamento per garantire il riposo dei cani. La legge, al riguardo, è particolarmente attenta. Sulla carta, un allevamento è un luogo (quasi) idilliaco: considerando che la presenza di molti animali in un luogo ristretto è fattore intrinseco di disturbo, e che il cane al pari di tutti gli animali ha bisogno di isolarsi e di riposare, si prescrivono aree di isolamento, dove l’animale sia protetto da qualsiasi fonte di rumore intenso, considerando persino i suoni ad alta frequenza non udibili dall’orecchio umano.  

Si prescrive l’isolamento acustico della struttura di isolamento e persino la possibilità di introdurre un fondo sonoro quale musica dolce per attutire i rumori inevitabili. Il rumore continuo, infatti, è considerato dalla legge quale “fonte di importanti modifiche delle funzioni organiche, disturbi del comportamento e della fisiologia degli animali”. E così, quando si progettano i box chiusi per l’allevamento, va prevista la possibilità per l’animale di isolarsi o ripararsi temporaneamente. Bello. Si dev’essere orgogliosi in Italia di avere prodotto una legge così avanzata. Ma come per tutte le leggi, qui da noi c’è il problema non secondario di farle rispettare. 

“Nel caso in specie, all’interno dei capannoni la rumorosità dovuta all’abbaiare degli stessi cani era certamente elevata ed intensa, tanto che per accedervi era obbligatorio indossare tappi per le orecchie”, scrive il giudice. 

Ecco, alla faccia della legge, della musica dolce, e delle aree di isolamento, i capannoni di Green Hill erano un inferno rumorosissimo. Talmente alto era il rumore che i dipendenti, per potervi lavorare, dovevano mettersi i tappi per le orecchie. Ed era un problema così grande, il rumore assordante, che i capannoni erano stati isolati acusticamente. Già, perché anche se lontani e in campagna, i latrati disperati di 2639 beagle potevano scatenare proteste. Magari qualcuno dei concittadini di Montichiari poteva andare a lamentarsi in Comune. E allora, per tenere il rumore all’interno, la Marshall era stata costretta a spendere qualcosina. Ma null’altro. “E’ pacifica l’assoluta mancanza all’interno dei box di aree separate e chiuse destinate al riposo e all’isolamento”. Il cane non poteva mai, dicesi mai, sottrarsi al frastuono scatenato dall’abbaiare disperato nel capannone…». 

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