La mia foto profilo sui social, Milo in braccio a me che guarda rapito il tramonto e dietro il mare, è un composite. Mio fratello ha fatto quella foto quest’estate, sulla spiaggia della Pozzolana di Ponente, a Linosa. Nella versione originale, dietro di noi c’era una collinetta di terra. Tornata a Roma, ho chiesto ad un’amica pratica di Photoshop di cambiare lo sfondo con quello di un’altra foto, sempre alla Pozzolana, fatta più in là, sul costolone di pietra da cui si scende a mare. Quando però l’ho postata, qualcuno, in mezzo ai tanti “Meraviglia!”, ha visto in quella foto un maltrattamento che non c’era: Milo che dava le spalle al mare perché spaventatissimo, e io che lo costringevo a pelo d’acqua. Non sapevo se farmi una risata o spiegare il Photoshop.

È un banale equivoco, ma uno che può illustrare bene un tema che mi sta molto a cuore: quello della natura dei gatti. Da anni racconto le avventure di Milo sui social e ogni giorno, accanto ai tanti fan del mio supergattino pasticcione, devo vedermela con chi, partendo da pregiudizi e preconcetti, biasima i miei comportamenti, sciorina sentenze pur non sapendo nulla di Milo o dei gatti in generale (spesso anche se ne hanno). Qual è la natura del gatto? Per alcuni, quelli per cui il gatto è poco più di un soprammobile, che spesso lo prendono di razza e non vi si dedicano se non per dargli da mangiare, il gatto deve solo mangiare e dormire. Non hanno tempo per giocarci (facendogli fare così attività fisica), e per lavarsi la coscienza lo riempiono di cibo. Risultato? Tanti gatti che vivono in casa sono obesi, con conseguenze sulla loro salute. Ma è questa la natura del gatto? Solo mangiare e dormire? Ovviamente no. Spesso si prende un gatto perché, “a differenza dal cane”, non devi portarlo fuori per fare i bisogni: purtroppo, questo contribuisce all’equivoco.

I gatti sono animali curiosi, cacciatori per natura. Che solo in tempi recenti sono diventati domestici – scegliendo, spiegava uno studio pubblicato sul New Yorker, la prossimità all’uomo come strategia di sopravvivenza. Fino a pochi decenni fa, i gatti non si tenevano in casa, ma stavano in cortile, dove potevano sfogarsi (e cacciare i topi, che era il motivo per cui molti esseri umani li tenevano). Il gatto, insomma, ha un naturale desiderio di natura, di esplorare. Vi siete mai chiesti perché una volta al giorno arrivi “l’ora del gatto matto”, in cui il gatto, da solitamente placido, per alcuni minuti diventa un terremoto, correndo dappertutto e trascinando con sé tutto quello in cui inciampi? («Milo no! Il servizio da rosolio della bisnonna!» Crash). I gatti della mia amica Mila, a turno fuggono sui tetti, e da lì chissà dove, e non tornano per ore. Ma se il rischio di cadere da un piano alto è assai reale (e non credete ai luoghi comuni, raramente un gatto che cade dal quarto piano e oltre sopravvive), è giusto che Mila li tenga chiusi, quasi prigionieri, in un appartamento di pochi metri quadri? Non lo è. Mila, come tante mamme non solo di pelosi prima e dopo di lei, ha capito che i figli bisogna lasciarli andare. Proteggerli sempre, ma anche assecondarne la natura, sperando che non gli accada nulla.

Ieri su Dodo circolava un video. Di un gatto iperattivo – un vero terremoto, non per cinque minuti – poi adottato da una mamma umana che, assecondandone la natura, armata di collarino e guinzaglietto lo porta in giro per mille avventure, lasciando che si arrampichi sugli alberi o tra le rocce quando fanno trekking. Il gatto è felicissimo: quando vuole uscire, cioè sempre, tira il guinzaglio, appeso al muro, con i denti e lo fa cadere in terra, “proprio come un cane” (altro pregiudizio, quello di accostare un comportamento che riteniamo insolito per un animale a quello di un altro che forse conosciamo di più). E quando è a casa è molto più tranquillo. Era davvero un terremoto quel gatto Probabilmente no: aveva solo bisogno di sfogarsi. Quante volte, per egoismo o per troppo amore (che poi sempre egoismo è), neghiamo agli animali i loro comportamenti naturali.

Il mio Milo, come sapete, è un gatto disabile. I suoi arti sono perfetti, ma una sindrome neurologica, chiamata ipoplasia cerebellare, fa sì che il messaggio dal cervelletto agli arti arrivi confuso. Così Milo cammina a zig zag, sbatte e non sa saltare. Direste che un gatto così è meno iperattivo di altri, che se la prende comoda. E invece no. Forse, proprio per compensare, Milo ama l’attività. Si arrampica, si industria, non demorde mai. E detesta essere lasciato solo – tanto che ogni volta che torno da una seppur piccola trasferta dove non ho potuto portarlo con me, ha forti crisi isteriche che non gli fanno bene. È stato anche per accudirlo che nei suoi primi tre anni non sono uscita quasi più di casa, e ci siamo fatti male entrambi. Invece avrei dovuto assecondare la sua natura di esploratore. Tutto me lo diceva, ma da mamma preoccupata io non lo vedevo. Così oggi Milo, ogni volta che è possibile, viaggia con me, ed è un gattino felice. In treno non miagola mai ed è solo perché gli parlo che la gente si accorge che ho un gatto nella borsa. E sulla nave per Linosa ha fatto otto ore di mare senza un miao. Gli piace anche nuotare, anche se è ovvio che mai lo metterei nell’acqua alta. Ma da piccolino nuotava nel lavandino e nella bacinella, cercando sempre d’infilarsi quando facevo la doccia; l’anno scorso a Vulcano, da quattrenne, ha fatto il bagno in una tinozza che gli ha procurato il nonno. Non tutti i gatti amano l’acqua, ma altri sì.

Addirittura, su Dodo gira un video in cui una coppia che, venduta casa per vivere su una barca, in seguito ha preso un gattino. Inizialmente, sono stati stanziali, in porto, per far abituare il micio al nuovo ambiente, poi piano piano hanno provato ad introdurlo all’acqua. Oggi il gatto viaggia con loro dappertutto, e quando gettano l’ancora in una spiaggetta è il primo a saltar giù, nuotando beatamente verso riva e con la coda dritta dritta, quasi a fare da timone, correndo ad esplorare il circondario e, se i suoi umani non sono ancora scesi dalla barca, tornando in acqua per raggiungerli. Quanto, in questo gatto nuotatore, sia amore per l’avventura e quanto per i propri umani non si sa. Qual è il confine tra nature e nurture, tra la natura dell’animale e come viene cresciuto? Ma nessuno, guardandolo senza pregiudizi, può dubitare che sia un gatto felice. Io me lo spiego in questo modo: il desiderio ancestrale di natura del gatto ha trovato sponda in questa coppia che con pazienza, senza forzarlo, lo ha introdotto al proprio ambiente.

C’è un altro grande equivoco sui gatti, e questo capita soprattutto a quelli che di gatti non ne hanno (o che hanno cani). Che appena ne vedono uno corrono ad accarezzarlo, fanno le vocette, invadono il suo spazio, e quello invece si spaventa, si ritrae, gonfia la coda e soffia. «Che brutto carattere», dicono subito quelli. Non capendo che il gatto è per sua natura schivo di fronte agli estranei. Non tutti certo: Mini, della mia amica Cristina, la prima volta che mi ha vista non si staccava più. Ma in generale i gatti non sono come i cani, che fanno le feste a quasi tutti (ci sono pregiudizi anche sui cani, eh): sono più ritrosi. L’amicizia il gatto la concede. Col tempo. Milo è così, e ancor di più per la sua disabilità. Se lo costringi gli viene una crisi isterica. Con mio fratello, che pure l’ha trovato, in un’aiuola sotto un temporale cinque anni e passa fa, ci ha messo anni a fidarsi. Gli vuole molto bene, col trasportino vanno in giro insieme, ma ancora non si fa prendere in braccio. E se a casa, la sera, li vedi insieme sul divano è perché Milo è territoriale: costretto a cedere il divano all’intruso per la notte, controlla però i propri possedimenti. Mio fratello, che coi gatti è cresciuto ed è molto paziente, non lo ha mai forzato. Confido che un giorno si abbracceranno, ma quando non si sa.

Milo è anche su Twitter: @royalgattin

4 settembre 2018 (modifica il 4 settembre 2018 | 18:23)

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