Fa discutere il regolamento dell’Asst che consente di portare cani, gatti e conigli all’interno dei reparti

È una notizia che crea discussione anche in ambiente medico, la decisione dell’Asst Lariana di consentire l’accesso negli ospedali (Sant’Anna, Sant’Antonio Abate e Felice Villa) agli animali domestici. Un accesso strettamente regolamentato, ma che di fatto consente ai pazienti di ricevere visite da parenti o amici che vengano accompagnati da cani, gatti e conigli. L’ingresso non viene consentito in tutti i reparti e solo dimostrando le condizioni di salute dell’animale, e dopo aver ricevuto espresso consenso da parte degli altri ricoverati e della direzione medica.

«Non vorrei sminuire il ruolo fondamentale che ricoprono gli animali nei confronti della solitudine di tanti malati, anziani, o solo acciaccati, ma sono fermamente contrario all’ingresso di cani e gatti nei reparti ospedalieri», dice il primario di Neurologia del Valduce, Mario Guidotti.

Il professor Mario Guidotti

Il dottor Mario Guidotti

Che elenca poi cinque motivi che portano a questa convinzione. «Innanzitutto si tratta di una questione igienica – dice il primario – Gli animali sporcano. In secondo luogo creano rumore, disturbano. Il terzo motivo riguarda i loro movimenti, spesso incontrollabili. Potrebbero recarsi in ambienti pericolosi, o asettici, sterilizzati. Inoltre spesso sono portatori di parassiti non comuni alle persone e, in ultimo, talvolta determinano allergie anche gravi negli uomini».

I pazienti negli ospedali destinati ai cosiddetti “acuti”, ovvero a chi ha una malattia da curare con urgenza, o attende un intervento chirurgico, potrebbero insomma attendere il rientro a casa per ricevere le coccole dell’animale domestico preferito.
«Non dobbiamo dimenticare che la degenza media negli ospedali per acuti – sottolinea sempre Mario Guidotti – oggi è di 2,7 giorni. Non credo valga la pena correre simili rischi sanitari per periodi di degenza così breve».

Diverso il discorso, come sottolinea lo stesso primario, riferito a reparti di lunga degenza, per riabilitazione o anche per la compagnia dei malati ricoverati negli hospice.
«In questo caso un compagno di vita, anche non di razza umana, garantisce un vero sostegno e anche un appoggio terapeutico – spiega Guidotti – Si chiama infatti “pet therapy”, cioè terapia data dalla presenza di un animale domestico. Non solo per la compagnia, ma anche per il fatto di prendersene cura». Guidotti ammette inoltre di essere stato testimone in passato di casi in cui il paziente ha rifiutato il ricovero ospedaliero nell’impossibilità di tenere in reparto il cagnolino. Una questione, quella degli animali in reparto, insomma, destina a creare discussione anche in futuro.

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