IL RACCONTO

Il gatto usato come pallone
Cronaca dell’incontro
con le bestie più grandi di lui

Precipita a terra, non sa più cosa succede, ma non tocca mica giù, e sente un colpo che lo sposta, un trambusto proprio sulla testa, e poi un altro, e poi ancora, e non capisce, tutto gli gira, lo stomaco gli si ferma, le zampe si chiudono

La lucertola è ferma in mezzo al sole, verde; alza la testa, muove la lingua. Il gatto è immobile, nascosto tra le foglie. Lento, punta le zampe sul terreno, pronto. Vuole prenderla, l’ha visto fare ad altri gatti, vuole morderla tra i denti, tenerla ferma dal corpo. Pensa di saper cacciare, anche se quella è la prima volta che ci prova. È che passa qualche istante, lui non si decide, sente che le zampe non hanno ancora il balzo, dentro, e così un insetto lo punge, muove la testa, fa un rumore, si distrae, e solo allora decide di saltare, ma quando atterra la lucertola si è spostata, non la vede neanche più. Rimane deluso, ma gli dura poco; la prossima volta ce la farà.

Non ha nemmeno fame, a dirla tutta; è che gli avrebbe fatto piacere prenderla, ci teneva a portarla a sua mamma, a far bella figura. È annoiato, stanco; l’estate è calda, non c’è molto da fare. Si guarda intorno. Non è mica da tanto tempo che sta al mondo, un paio di mesi, ma gli pare un posto bello, tutto da esplorare, le foglie, l’ombra, i profumi, le cose da vedere. Così, continua ad andare in giro, nel modo buffo in cui camminano i gatti piccoli.

È all’improvviso che le vede in lontananza, sfocate. Quelle bestie sono molto più grandi di lui. Ne ha viste altre di quel tipo, le riconosce, ma non si è mai avvicinato. Si lecca un poco, si innervosisce, è pronto a scappare. Ma poi vede che quelli non fanno niente, non si accorgono neanche di lui. E allora gli viene coraggio, o forse è solo una curiosità. Va verso di loro, e siccome quelle non gli danno retta, allora miagola, forte come quando vuole chiamare sua madre, come quando è affamato. Una di quelle bestie si volta, lo guarda negli occhi, il gatto non capisce mica cosa sta pensando quell’altro, ma va vicino, si struscia contro una gamba, è la cosa che gli viene da fare.

Proprio quando è sotto, sente una mano sulla sua testa, si ritrae, ma la mano continua a cercarlo, quelle dita adesso gli fanno una carezza, lo grattano, le mani gli tirano giù le orecchie, gli piace, gli viene da chiudere gli occhi, fa le fusa. Quelle bestie gli piacciono. E anche se l’altro smette presto, il gatto si ferma lì, in mezzo a loro, disteso. Sta per chiudere gli occhi, sonnecchia, un po’ di fresco, la pace, prima o poi dovrà anche tornare a cercare sua mamma, e mentre è in mezzo a quei pensieri ecco che una di quelle bestie lo prende, lo alza senza dirgli nulla, lui caccia un urlo, le unghie, il pericolo, il vuoto, e poi l’altro lo lascia cadere, lui precipita a terra, pochissimi istanti, non sa più cosa succede, ma non tocca mica giù, e sente un colpo che lo sposta, un trambusto proprio sulla testa, e poi un altro, e poi ancora, e non capisce, tutto gli gira, lo stomaco gli si ferma, le zampe si chiudono, gli occhi gli escono dalla faccia, il male capita senza poterlo prevedere, tutto di un colpo, e ha paura che quelli lo mangino, vogliano ammazzarlo, ma niente, invece, quelli continuano così, a colpirlo. Si fermano.

Il gatto ansima, cerca di fuggire, ma si accorge che non ha forza, non riesce a muoversi, i pensieri non sono lucidi, è successo qualcosa nella sua testa. Vede un’altra bestia di quelle, ha paura, ma questa si china verso di lui e lui non può fare niente, è che gli pare diversa dalle altre, lo stringe. «Vieni con me che ti porto a guarire», e forse lui lo capisce. Il gatto chiude gli occhi, è stanco, ha paura. «Chissà dov’è finita la lucertola», si domanda soltanto.

Giovanni Montanaro
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