ospedale humanitas

La notizia è di quelle perfette perché tiene insieme tutto, l’amore per gli animali e la possibilità di scovare e trattare per tempo un tumore. Stiamo parlando di Liù, il cane in forza all’ospedale Humanitas di Castellanza capace di fiutare con successo (nel 98% dei casi) la presenza di un tumore alla prostata in fase iniziale. Una notizia curiosa che però non rappresenta né una novità – di casi analoghi ce ne sono diversi – né l’imminente svolta nel trattamento di questa neoplasia. Andiamo con ordine:

L’idea che un cane sia in grado di individuare la presenza di un tumore in fase iniziale nasce nel 1989 con una pubblicazione su The Lancet. La ricerca descriveva la storia di un dalmata che, dopo aver annusato per mesi un neo sulla gamba della padrona, permise che se ne riconoscesse la natura maligna. Da quel giorno è stato un susseguirsi di ricerche analoghe. Dalla prima vera pubblicazione nel 2006 sul British Medical Journal –in cui l’attendibilità dei cani nel riconoscere la presenza di un tumore era del 98%- al caso di Liù, la scienza medica è costellata di esempi del genere.

Il “segreto” che sta alla base della capacità di alcuni cani – opportunamente addestrati – di riconoscere la presenza di un tumore fiutando le urine (vale anche la saliva e il respiro) risiede nelle loro straordinarie capacità olfattive. L’idea di fondo è semplice: alcuni tumori, per via della loro localizzazione, sono in grado di secernere alcune molecole (i famosi biomarkers) all’interno di sangue, urine, saliva e a livello del tratto respiratorio. Poterle individuare è di fondamentale importanza per la diagnosi precoce. Nella lotta ai tumori infatti questo concetto è tutto: prima si individua la malattia e maggiori sono le probabilità di successo.

Alcuni cani – come il caso di Liù e di tanti altri – sembrerebbero addirittura battere i normali test diagnostici oggi in uso. Un fatto curioso che ha spinto nel tempo gli scienziati a mettere a punto dei veri e propri “nasi elettronici”. A tal proposito di prototipi ce ne sono già diversi. L’idea di fondo è quella individuare l’insieme di composti chimici che i cani percepiscono con l’obiettivo di creare un naso artificiale in grado di simulare l’olfatto canino. Una soluzione molto più percorribile rispetto all’addestramento in massa – e successivo reclutamento – di cani negli ospedali. L’idea affascinante non deve però far dimenticare che il campo della diagnosi precoce sta facendo passi avanti da gigante come nel caso dell’individuazione molecolare dei micro-RNA rilasciati dal tumore nel circolo sanguigno.

Ma al di là della metodica migliore da utilizzare – che non sarà mai uguale da tumore a tumore – il trattamento del cancro alla prostata non sarà rivoluzionato solo da un naso elettronico. La questione infatti è molto più complessa ma la situazione è già ottima: ad oggi delle 35 mila nuove diagnosi annuali di tumore alla prostata, il 90% delle persone e viva a 5 anni dalla scoperta della malattia. Il merito è essenzialmente di terapie e più in generale di approcci sempre più mirati. Non solo: una diagnosi non significa per forza dover intervenire. In un caso su tre la malattia ha dimensioni ridotte e aggressività minima tali per cui non si deve fare nulla ma è sufficiente osservare nel tempo con attenzione e monitorare l’evoluzione.

La vera sfida futura nella lotta a questo tumore invece (ma anche di molti altri) sarà quella di riuscire ad abbinare in maniera sempre più dettagliata la sintomatologia al profilo genetico della malattia. Solo così si riuscirà a somministrare sin da subito la cura migliore evitando al paziente terapie alle quali non risponderà. I tumori alla prostata non sono tutti uguali. Il naso elettronico potrà sì aiutarci ad individuare sempre più precocemente la malattia ma dovrà essere affiancato all’analisi della carta di identità genetica del tumore. In questo modo potremo arrivare a curare con successo anche quel restante 10% delle persone – affette da forme aggressive – che purtroppo oggi non c’è più a 5 anni dalla diagnosi.

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