VITERBO – Oggi, vorrei lanciare un forte monito a coloro i quali ritengono che un cane sia solo uno strumento inanimato da utilizzare a piacimento nei fine settimana e di conseguenza, a quelli che rinchiudono l’animale in anguste e strettissime gabbie per tutta la settimana sino al giorno dell’apertura della caccia.

Il loro “strumento”, che io chiamo amorevolmente “il mio miglior fratello” o nel peggiore dei casi “il mio migliore amico”, soffre di sovente di una malattia-fobia molto diffusa anche nell’uomo che riesce talvolta a terrorizzarlo e che non passa di certo con il reiterarsi della reclusione. LA CLAUSTROFOBIA.

Questa particolare fobia, non è altro che la paura della restrizione in ambienti ostili che varia da un individuo all’altro e che si manifesta solitamente in locali chiusi particolarmente angusti, come ad esempio gabbie o scatole.

Lo sviluppo di questa paura può essere dovuto ad una predisposizione genetica, o ad un condizionamento classico.

La sintomatologia nel cane di solito comprende, una crisi di apparente soffocamento, respiro violento, mania distruttiva, latrati prolungati, morsicamenti spasmodici sino alla rottura dei denti o lacerazioni delle gengive e tentativi di scavare con conseguente compromissione e sanguinamento dei cuscinetti delle zampe. Nei cani, e forse anche negli uomini, gioca un ruolo fondamentale l’intolleranza agli ambienti chiusi dovuta alla mancanza di abitudine sviluppata durante il primo periodo della vita.

Se i cuccioli saranno addestrati sin da piccoli, svilupperanno meno propensione alla fobia verso i piccoli spazi una volta divenuti adulti. I cani che soffrono di claustrofobia, possono avere violente crisi anche all’interno delle autovetture: in questi casi i sintomi possono variare e scatenare mal d’auto, vomito e salivazione eccessiva; per questo motivo è molto utile trasportare in macchina molto spesso il nostro cucciolo, facendo in modo che esso accetti il luogo chiuso come forma di divertimento e sicurezza.

Nei cani, molto spesso, la sindrome claustrofobica risiede in qualche base genetica che si basa di sovente anche sulla razza. I cani che sono classificati come lavoratori, che siano essi da guardia o sportivi e che comunque vivono per loro natura all’aria aperta, saranno molto meno tolleranti nell’accettare ambienti piccoli e chiusi, su queste categorie, i proprietari, dovranno intensificare prepotentemente la fase di adattamento in tenera età, iniziando preferibilmente dalle sei settimane di vita in poi, ininterrottamente sino allo svezzamento.

Alcune razze risultano comunque più soggette di altre a forti crisi claustrofobiche, come ad esempio i Dobermann, i Pinscher, i Border Collie, il Siberian Husky, il Pastore Belga, il Pastore Tedesco, i Jack Russell e i Dalmata.

La fobia dei luoghi chiusi, nel cane, risulta solitamente associata ad altre forme di stress facilmente riscontrabili quali, ululati prolungati, masticamento dei piatti del cibo e delle ciotole d’acqua, ribaltamento continuo della pappa sul pavimento, riduzione dell’appetito e iperventilazione.

Il problema reale di queste crisi è che non vi è possibilità alcuna di poterle prevedere finché non si manifestano, per questo motivo è importante non rinchiudere mai il nostro cane in spazi stretti o perfettamente bui, e soprattutto, nel caso si fosse costretti a farlo, liberarlo immediatamente ai primi sintomi.

Quindi, cerchiamo sempre di non violentare il normale svolgimento della vita del nostro cane, in quanto, il danno che le suddette crisi provocano e le lesioni procurategli, di solito guariscono rapidamente, ma il verificarsi di gravi e ripetute crisi claustrofobiche potrebbe determinare gravi conseguenze per il benessere dell’animale.

Leonardo De Angeli

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