I gatti sono liquidi o solidi? Incontrare un coccodrillo rende più propensi a giocare alle slot? Come camminare per non rovesciare mai un caffè? Le risposte a questi e altri fondamentali dilemmi tra i premi IgNobel 2017

Siamo ormai a metà settembre, e come ogni anno torna uno degli appuntamenti più attesi dagli appassionati di scienza. Non parliamo dei Nobel – per quelli ci sarà da attendere ancora qualche mese – ma di qualcosa di simile, almeno nel nome: gli IgNobel Prize, la manifestazione che premia la scienza più assurda e divertente dell’anno appena trascorso. Ricerche curiose, inusuali, paradossali. Ma attenzione a prenderle sotto gamba, perché sempre di scienza si tratta. Come ci ricorda d’altronde il motto dell’evento: “scoperte che fanno prima ridere, e poi pensare”. E non a caso, a consegnare i premi sono tre pesi massimi del panorama scientifico internazionale: i premi Nobel Eric Maskin (Nobel per l’economia nel 2007), Oliver Hart (Nobel per l’economia nel 2016) e Roy Glauber (Nobel per la fisica nel 2006). Vediamo dunque chi sono i 10 vincitori di quest’anno. Partendo con una gradita sorpresa: uno dei premi IgNobel 2017, infatti, è tutto italiano.

Cognizione: i gemelli che non si riconoscono
A vincerlo è stato un team di ricercatori che, al tempo della ricerca, afferivano tutti ad università e istituzioni italiane.

La motivazione del premio? “Aver dimostrato che molti gemelli identici non sono in grado di distinguersi visivamente gli uni dagli altri”. Un tema che fa sorridere, come è giusto che sia parlando di un IgNobel. Ma anche riflettere, non appena si scopre qualcosa di più sulla ricerca. “Il riconoscimento del proprio volto è un processo complesso, di cui i bambini diventano capaci solo intorno ai due anni di età”, raccontano a Wired Matteo Martini, della University of East London, e Ilaria Bufalari, della Fondazione Santa Lucia di Roma, autori dello studio pubblicato su Plos One insieme a Maria Antonietta Stazi del Registro nazionale Gemelli e dell’Istituto superiore di sanità e Salvatore Maria Aglioti della Sapienza Università di Roma.

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Per riuscirci il cervello si basa su un’immagine mentale del nostro volto che si forma quando ci guardiamo allo specchio e vediamo che l’immagine riflessa si muove come noi, e che le informazioni sensoriali che arrivano dal corpo sono congruenti con il fatto che si tratti del nostro viso”. Normalmente si tratta di un’immagine così radicata che bastano pochi istanti per riconoscere una foto del proprio volto da quella del volto di un’altra persona.

Ma come hanno dimostrato i nostri premi IgNobel, per due gemelli monozigoti le cose si fanno più complesse: difficilmente riescono a distinguere la propria foto da quella del gemello nel tempo di una breve occhiata. E quindi? “Evidentemente in questi casi la rappresentazione del proprio volto coincide con quella del viso del gemello – continuano i due ricercatori – e per riconoscersi probabilmente diventano più importanti altre informazioni sensoriali provenienti dal corpo”. Capire quali sarà l’obbiettivo delle prossime ricerche. In ogni caso, spiegano Martini e Bufalari, quello dei gemelli è un caso anomalo e interessante, che ci potrà aiutare a comprendere più a fondo i processi con cui il nostro cervello identifica il sé corporeo, cioè l’immagine mentale che abbiamo del nostro corpo. E se nel frattempo la ricerca strappa qualche sorriso, non è certo un problema. “All’inizio non volevamo crederci, ma quando ci siamo resi conto di aver vinto realmente il premio IgNobel è stata una bella soddisfazione – concludono i due ricercatori – non capita tutti i giorni di salire su un palco in compagnia di un premio Nobel, e il premio non fa che dare visibilità alla nostra ricerca”.

Fisica: la reologia del felide
Ovvero: il gatto è un fluido o un solido? È la domanda a cui tenta di rispondere il premio IgNobel per la fisica di quest’anno, Marc-Antoine Fardin dell’École Normale Supérieure de Lyonche, con uno studio pubblicato sul Rheology Bulletin dal titolo inequivocabile: “On the rheology of cats” (Della reologia del gatto). Per comprendere di cosa parliamo, è bene chiarire da subito che la reologia è la scienza che studia “gli equilibri raggiunti nella materia che fluisce o si deforma per effetto di uno stato di sollecitazione”. Perché applicarla ai gatti? Normalmente, definiamo solido un materiale che tende a mantenere un volume e una forma definiti; liquido è invece un materiale che assume la forma del contenitore in cui viene posto mantenendo però il suo volume originario; gas infine è un materiale che tende ad espandersi indefinitamente per occupare tutto il volume di spazio disponibile. Partendo da questa definizione, c’è chi ha fatto notare che i gatti non possono essere considerati materia solida: alla prima occasione saltano all’interno di qualunque scatola o contenitore disponibile, espandendosi o dilatandosi fino a prenderne la forma.

Resosi conto del potenziale di queste osservazioni empiriche, Fardin ha deciso di gettare le basi per una nuova branca della reologia, che sappia rendere conto scientificamente delle deformazioni che subisce un gatto – ma probabilmente, fa notare l’autore, anche altre specie di felidi – quando viene sottoposto a sollecitazioni. Tornando alla domanda iniziale quindi: sono solidi o liquidi? La risposta della reologia è che tutto dipende dal tempo: la distinzione tra solido e liquido è spesso illusoria, perché aspettando qualche milione di anni anche una montagna tenderà ad appiattirsi. Dai calcoli del fisico francese, i gatti sono quindi solidi per tempi di osservazione che oscillano dal secondo al minuto. Superata questa soglia, il comportamento del gatto diviene liquido, e l’animale tende ad assumere la forma di qualunque contenitore in cui si sia infilato. Difficile non considerare lo studio uno degli IgNobel più meritati di sempre.

Pace: che cos’è il didgeridoo?
Beh, non proprio. Ma il premio IgNobel per la pace va in effetti a uno studio sul didgeridoo, e in particolare il suo effetto benefico sui sintomi della sindrome delle apnee ostruttive nel sonno. In pratica, suonare questo antico strumento a fiato degli aborigeni australiani aiuta a russare di meno, e respirare meglio durante il sonno. A dimostrarlo è stato un team di ricercatori svizzeri, canadesi, olandesi e statunitensi, con un trial i cui risultati sono stati pubblicati sul British Medical Journal.

Una mezz’oretta di pratica con lo strumento ripetuta in media 5,9 giorni a settimana si è dimostrata sufficiente per migliorare nettamente i sintomi diurni della sindrome (sonnolenza diurna) ma anche – e si può immaginare che sia questo l’elemento cruciale ai fini dell’assegnazione del premio per la pace – per diminuire in modo sostanziale il disturbo apportato dal russare dei pazienti al sonno del proprio partner. Non c’è che dire: si tratta di un contributo importante, quantomeno per far tornare la pace tra le mura domestiche.

Economia: di coccodrilli e slot machine
La vista di un coccodrillo con le fauci a pochi centimetri dalla nostra faccia può avere diverse conseguenze. Una delle meno note è che aumenta la nostra predisposizione a giocare d’azzardo. A scoprirlo sono stati il ricercatore australiano Matthew Rockloff e il la collega americana Nancy Greer, grazie a un esperimento a cui hanno partecipato oltre 100 volontari reclutati nella Koorana Saltwater Crocodile Farm di Coowonga, in Australia.

Dividendo i partecipanti in due gruppi, i ricercatori hanno scoperto che mettendo in mano a metà di loro un coccodrillo lungo un metro aumentava la cifra che erano disposti a puntare giocando con delle slot machine. I due scienziati assicurano che si tratta di risultati importanti per comprendere più a fondo il ruolo che gioca l’eccitazione nella psicologia dei grandi giocatori d’azzardo. Non c’è motivo di dubitarne ovviamente, ma ciò non toglie che il tema come dire, inusuale, della ricerca ha fatto meritare ai due scienziati il premio IgNobel 2017 per l’economia.

Anatomia: come invecchiano le orecchie
Alcuni fatti della vita sono noti a tutti. Si nasce, si muore, si invecchia. E invecchiando le orecchie maschili non fanno che ingrandirsi. Il buon vecchio senso comune però non è ovviamente abbastanza per uno scienziato. Per questo nel 1995 il medico di medicina generale inglese James Heathcote ha deciso di affrontare il problema con il rigore che caratterizza la scienza medica: ha raccolto i dati antropometrici sulla dimensione delle orecchie di 200 pazienti, li ha messi in relazione con la loro età, e ha costruito un bel grafico che dimostra una volta per tutte che le orecchie maschili diventano più grandi col trascorrere degli anni. È passato qualche anno, è vero, da queste prime pionieristiche ricerche nell’atropometria maschiale. Ma – meglio tardi che mai – l’importanza della scoperta è stata finalmente riconosciuta, valendo l’assegnazione del premio IgNobel per l’anatomia 2017 all’ormai anziano medico inglese.

Biologia: il pene femminile
Siamo abituati a ritenerlo appannaggio del sesso maschile. Ma, sebbene raro, esiste anche il pene femminile. A scoprirlo è stato un team di ricercatori svizzeri, brasiliani e giapponesi, che per riuscire nell’impresa si sono dovuti spingere all’interno di un complesso di caverne brasiliano, alla ricerca di quattro insetti appartenenti al genere Neotrogla che abitano questi ambienti bui e aridi, nutrendosi di guano di pipistrello. Al microscopio dei ricercatori gli insetti hanno rivelato il loro segreto: le femmine della specie presentano lunghi apparati genitali esterni che vanno ad inserirsi in apposite fessure genitali dei maschi. Si tratta di una scoperta importante, assicurano gli autori dello studio, perché è il primo caso conosciuto in cui la selezione naturale ha spinto verso questa inversione dei ruoli sessuali tra i due sessi. E non a caso, e con qualche anno di ritardo, è valsa ai suoi autori l’assegnazione del premio IgNobel per la biologia.

Fluidodinamica: evitare di rovesciare il caffè
La ricerca che ha conquistato il premio IgNobel per la fluidodinamica non è un lavoro di squadra, ma il frutto dell’ingegno di un singolo fisico sudcoreano: Jiwon Han, della Korean Minjok Leadership Academy. Da solo, Han si è imbarcato in una ricerca che mira a cambiare la vita di milioni di persone in tutto il globo: scoprire il modo migliore per evitare di rovesciare il caffè mentre si trasporta la tazza in giro per casa, o per il proprio posto di lavoro. L’intento è nobile, e l’impegno notevole: nel suo studio Han prende in considerazione tutti gli elementi che possono influenzare i movimenti del caffè all’interno di una tazza, costruendo un modello matematico che permette di simulare gli effetti di diverse camminate, impugnature, ecc… E dopo otto pagine fitte di grafici e complicati calcoli di fluidodinamica, arriva finalmente all’agognata soluzione.

Come evitare dunque di versare il caffè? I calcoli di Han mettono in luce due possibili tecniche: la cosiddetta presa ad artiglio, che consiste nel tenere la tazza dall’alto con tutte e cinque le dita (come fossero gli artigli di un uccello), o ancora più efficace, camminare all’indietro. Proprio così: gli esperimenti di Han dimostrano che camminando al contrario è possibile modificare la frequenza delle oscillazioni della mano che regge il caffè, minimizzando le probabilità che questo si rovesci sul pavimento. Sempre che – viene da aggiungere – non si finisca a sbattere contro mobili, porte e pareti.

Nutrizione: i vampiri
Siamo abituati a pensa che i vampiri siano materiale da libri e film horror. È vero, esistono alcune specie di pipistrelli che si nutrono di sangue, ma solitamente si ritiene che le loro prede si limitino a uccelli e animali selvatici e, al più, qualche attacco nei confronti del bestiame da allevamento. Le cose in realtà non stanno più così, come dimostra uno studio pubblicato su Acta Chiropterologica, rivista dell’Accademia delle scienze polacca dedicata alle ricerche sui pipistrelli.

Analizzando il contenuto dello stomaco di alcuni pipistrelli della specie Diphylla ecaudata, i ricercatori hanno infatti scoperto che questi pipistrelli vampiro brasiliani, normalmente specializzati nella caccia agli uccelli selvatici, ha cambiato gusti negli ultimi anni: tra i campioni prelevati infatti è stato riscontrato anche sangue umano, e in abbondanza. Una novità che riflette i cambiamenti ecologici in atto nell’habitat di questi pipistrelli, che evidentemente non trovano più le proprie prede naturali (gli uccelli) in quantità sufficiente. Ma anche una delle prime testimonianze di autentici vampiri che sopravvivono succhiando il sangue degli esseri umani. Una scoperta abbastanza curiosa da fruttare il premio IgNobel per la nutrizione ai suoi autori.

Medicina: le puzze
Alcuni formaggi hanno un odore estremamente penetrante. E non tutti lo trovano appetitoso. In uno studio pubblicato su Frontiers in Human Neuroscience un team di ricercatori inglesi e francesi ha deciso di indagare la questione più a fondo: andando a misurare esattamente quanto disgusto provocasse l’odore del formaggio in un gruppo di volontari. Come riuscirci? Andando alla fonte di ogni sensazione: analizzando cioè l’attività cerebrale durante le annusate. È così che è stato possibile scoprire i correlati neurali del disgusto per la puzza del formaggio. Nelle persone che non ne apprezzano l’odore si attivano specifiche aree del globo pallido e della substantia nigra. Una scoperta abbastanza significativa da meritare il premio IgNobel per la medicina 2017.

Ostetricia: tutta un’altra musica
La risposta dei feti agli stimoli sensoriali è un importante sintomo per accertarsi del normale sviluppo del cervello. In particolare, oggi è possibile monitorare le risposte dei feti ai suoni, che normalmente vengono riprodotti da apparecchi appoggiati al ventre della madre. In questo modo però il suono deve attraversare il tessuto addominale e il liquido amniotico prima di raggiungere il suo obbiettivo: 100 decibel si riducono al volume di una pacata conversazione quando arrivano alle orecchie del feto.

Si può fare di meglio? Da oggi sì: merito di una ricerca spagnola, che ha dimostrato l’efficacia di un nuovo sistema definito intravaginal music. Fondamentalmente, si tratta di un emettitore sonoro che viene inserito nella vagina, e permette di far ascoltare suoni e musiche al feto senza dover superare la barriera dell’addome. I risultati del loro studio hanno permesso di determinare che in questo modo i feti possono sentire la musica già intorno alle 14 settimane, contro le 19/20 delle tecniche precedenti. Che dire? Difficile non ritenere meritato il premio IgNobel per l’ostetricia 2017.

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