I GATTI non sono molto antichi. Datano solo 2 milioni di anni fa, poco rispetto alle creature esistenti sul nostro Pianeta, molto meno degli insetti e appena un po’ più di noi umani nelle varie versioni di Homo. Il gatto selvatico, l’antenato del gatto domestico, ha solo un milione d’anni in più. Perciò si può ben dire che siamo cresciuti insieme. La sua domesticazione daterebbe al 8000 a.C.; è avvenuta nella Mezzaluna Fertile. Da allora il gatto si è auto-addomesticato; significa che si è avvicinato all’uomo e si è adattato a lui. O meglio, l’uomo si è adattato al gatto e si è fatto accettare. Indipendente il gatto lo è per natura, anche se poi l’uomo ha manipolato le razze feline. Quasi tutte quelle che vediamo oggi risalgono alla seconda metà del Novecento.

In America il gatto è arrivato probabilmente con Colombo, o forse era a bordo del Mayflowe all’inizio del Seicento. In Australia è sbarcato all’incirca nella stessa epoca; il primo siamese è giunto in Occidente nel 1878. Le razze di compagnia sono state create negli ultimi 50-60 anni, così, forse a parte i randagi che vivono nelle nostre città, non esistono più “gatti naturali”. Ma anche questi sono l’effetto di manipolazioni precedenti. Del resto, cosa sono quelli fotografati in queste immagini nel progetto Aristocats? Qualcuno ha mai avuto in braccio gatti di questo tipo? Tutti accuratamente selezionati per vincere premi alle esposizioni feline che si tengono in giro per il mondo. Sono degli ibridi. Animali da collezione. Non meno strani sono i loro padroni che li esibiscono in quel modo davanti all’obiettivo fotografico. Si tengono in braccio in quel modo i gatti di casa? Direi proprio di no. Sono animali vivi, ma sembrano impagliati. Sono dei trofei.

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Nel corso del XX secolo gli allevatori si sono messi all’opera per ottenere gatti “mostro”, da mostrare appunto nelle esposizioni secondo criteri e sistemi che erano già stati sperimentati dalle classi aristocratiche per i cani. I gatti, di per sé aristocratici, sono qui animali per il “popolo”; sono più “democratici”, o almeno così sembrano osservandoli attraverso i padroni che li sorreggono. In effetti, sono questi i veri soggetti degli scatti fotografici: meravigliosi esemplari umani. Chi li ha ritratti sapeva perfettamente quello che faceva. Ogni foto ritrae una coppia, composta da uomo, o donna, e animale. La coppia sottolinea differenze. Con i gatti non accade quello che avviene tra padroni e cani. Nell’universo umano-canino i due tendono ad assomigliarsi fisicamente, com’è stato più volte sottolineato da vignettisti e scrittori. Nel mondo felino i gatti somigliano, non alle persone, ma all’idea di gatto che gli uomini e le donne hanno in testa. Idee, ma anche fantasie, ambizioni, desideri.

Ogni coppia esprime al riguardo qualcosa di preciso: l’idea di piccolezza, di ferinità, di bizzarria, di magrezza, di lunghezza, di grandezza. Ogni idea a sua volta esprime una volontà più profonda che è appunto quella di sorprendere (prima di tutto se stessi). Le immagini lo dicono con chiarezza facendo emergere le coppie dal nero del fondo. Vogliono colpirci. Del resto, è questo che chi ha operato con la selezione naturale delle specie feline si proponeva di raggiungere. All’inizio del XXI secolo è stato selezionato il Levkoy, un gatto brutto da far spavento; al punto di vista estetico, come ha scritto Richard C. Francis in Addomesticati (Bollati Boringhieri), è l’equivalente felino di E. T. l’extraterrestre. L’ibridazione è oramai il destino che ci attende. I gatti ci hanno preceduti e insieme ci seguono fedelmente. 

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