GROSSETO. Luisa si fa avanti da sola per controllare la reazione della cagna davanti a una persona che si avvicina al gregge. La cucciola vuole ancora giocare ed è difficile resistere dal farle una carezza. «In questa fase deve ancora abituarsi che il suo compito è badare alle pecore, non deve perderle di vista», dice Luisa mentre ordina con piglio deciso a questo batuffolo di andare dal gregge. Lampo, invece, ormai un veterano, sa già che il suo mestiere è fare il bodyguard delle pecore e può permettersi, ora che è non ci sono pericoli, di avvicinarsi alle tre ospiti umane e farsi dare una grattatina alle orecchie. Ma appena avverte un rumore sospetto, un fruscio nell’erba, cambia espressione, si alza, scruta l’orizzonte, va verso il gregge. Si mette al lavoro. «È la differenza tra un cane da guardia e uno da guardianìa», spiega Luisa Vielmi di DifesAttiva.

Luisa oggi di lavoro fa questo: visita le aziende, conosce gli allevatori, le loro pecore, osserva come lavorano, cerca di capire come affrontare, caso per caso, il problema delle predazioni, fa conoscere agli allevatori cani e ricoveri, affida i cani, li segue per mesi, ne valutai difetti di comportamento, li corregge e, ultimo ma forse più importante, tesse quella fondamentale rete di relazioni tra pastori a cui si aggrapperanno ogni volta che si troveranno in difficoltà.

Ma cosa differenzia un cane da guardia da uno da guardianìa? L’esempio arriva con i cani di Davide Lozzi, allevatore a Marrucheti. Davide ha incontrato il progetto Life Medwolf e l’associazione DifesAttiva a maggio 2016, a una riunione di allevatori. Era arrabbiato, demoralizzato, stava pensando di lasciare.

Luisa andò a fare un sopralluogo. «Vidi che aveva una cagna straordinariamente brava, Lena – spiega – che metteva in riga anche gli altri cani. Solo che gli altri non facevano gruppo come devono fare i cani da guardianìa. Non c’era quell’affinità di rapporto che ci deve essere tra cane e gregge. In alcune parti della giornata li trovavi più intorno a casa. Abbiamo dunque scelto una buona linea di sangue, controllato quelli che potevano rimanere. L’ultima predazione era avvenuta a neanche cento metri da casa. Da quando ci sono tutti cani cresciuti per fare i pastori, le pecore non sono più state aggredite da canidi».

I cani di Life Medwolf e DifesAttiva non sono di razza ma seguono una linea di sangue da lavoro. I genitori sono stati pastori, loro nascono in stalla e devono avere la giusta attitudine.

Non tutti gli allevatori, però, confidano nei cani, anzi. Si leggono spesso lamentele per cani ingestibili e pericolosi per i passanti. «Finché non ci sono pericoli all’orizzonte un cane ben gestito deve essere tranquillo, non pericoloso. Deve cambiare atteggiamento solo quando avverte un pericolo per il gregge senza essere un problema per i fruitori del territorio, come escursionisti o altri», spiega Luisa.

DifesAttiva e Medwolf consegnano cani agli allevatori che li richiedono e che si dimostrano collaborativi nella gestione. Non tutti, però, sono ammessi a riceverli. L’allevatore che si accolla il cane deve essere disponibile a impegnarcisi. Perché i cani non sono robot che si mettono là, si accendono e funzionano.

Un impegno che, tuttavia, le stesse istituzioni pubbliche, ancora alla ricerca di una soluzione alle predazioni, non riconoscono. Per un contorto meccanismo, infatti, lo Stato interviene con denaro solo per risarcire gli allevatori colpiti. «Così –

spiega Valeria Salvatori, responsabile del progetto Life Medwolf – succede che chi non adotta pratiche virtuose ma “fa rumore” sulla stampa viene indennizzato; chi adotta pratiche virtuose come cani da guardianìa e recinzioni e scongiura gli attacchi, viene ignorato». (f.f.)

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