Separarsi può essere un’esperienza drammatica se non gestita con equilibrio. Equilibrio che spesso manca nei separandi ed anche in chi li circonda ed assiste. Separarsi (in senso lato) oggi è una tappa della vita che deve essere valutata in anticipo come probabile (50% di rischio), possibilmente disciplinandola in anticipo con un accordo negoziale, che ad oggi nel nostro ordinamento è solo parzialmente ammissibile. Solo in questo modo ci si potrebbe sottrarre ad un durevole conflitto che sovente concerne la volgare pecunia ma anche la gestione dei figli e di ciò che è più caro, quale un animale d’affezione (un essere vivente, senziente, verso il quale si può ben provare un amore e un calore smisurati, unici e irrinunciabili) od anche un semplice oggetto (un mobile, un quadro o anche una borsa). Caro anche in senso economico ove si pensi alle spese di mantenimento e di accudimento che può richiedere un animale solo in un anno.

Nel caso dell’animale, una volta giunto a termine il rapporto tra i conviventi/coniugi, è opportuno, ove ci si separi anche fisicamente, trovare (come dovrebbe avvenire già per i figli, per i quali dovrebbe valere la regola dell’affidamento condiviso vero e non del falso condiviso) celermente un accordo anche con riferimento al cane o al gatto, proprio per non farlo soffrire a causa del distacco da uno dei due conviventi/coniugi. Infatti l’ansia da separazione è uno dei problemi comportamentali più frequenti nel cane (dunque lo si può pure ipotizzare anche per i felini, ancorché più indipendenti). Varie ricerche scientifiche svolte hanno dimostrato che distruttività, vocalizzazioni ed altri comportamenti che appaiono durante la separazione dal c.d. padrone, sono in realtà manifestazioni dello stato ansioso sofferto in quel momento dal cane. Non vendetta o atteggiamento dispettoso.

Nel nostro sistema oramai gli animali hanno smesso di essere trattati come cose, stante il reato di “maltrattamento di animali” disciplinato dall’art. 544-ter cod. pen. (introdotto dalla l. 189/2004 in seno al nuovo titolo IX bis, rubricato “Dei delitti contro il sentimento per gli animali”), che punisce “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche” con la reclusione da 3 a 18 mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

La casistica di una separazione che investa pure l’interesse degli amici d’affezione è oramai in costante aumento. Si possono avere diversi e complessi fenomeni che dovrebbero essere ben ponderati: animale affezionato ad entrambi, ad uno solo tra i due, affezionato solo ai figli. In tal caso occorrerebbe prediligere il legame affettivo e non usare l’animale come ostaggio (al pari dei figli) o come merce di scambio o ancor peggio come oggetto di vendetta (es. me lo tengo e poi lo abbandono o lo tratto male). “La guerra dei Roses” in molti casi fa uscire il peggio dagli esseri umani, accecati dai sentimenti e comportamenti più abbietti (vendetta, odio, violenza, etc.). Si dovrebbe dunque disquisire di “interesse dell’animale” oltre all’”interesse del minore”.

Nella casistica recente c’è quella di una coppia di Milano che si è rivolta al Tribunale, chiedendo di definire una sorta di ‘affidamento del cane’ e di stabilire un importo necessario per il suo mantenimento. Dopo aver ricostruito la situazione reddituale dei coniugi il giudice ha adottato una serie di provvedimenti ma senza accogliere la richiesta, ritenendo che tra i poteri concessi al giudice non rientrasse l’assegnazione del cane di famiglia, compresa l’attribuzione dell’onere al suo mantenimento, anche se oggetto di un patto tra coniugi (Trib. Milano, 17.7.2013). Subito dopo però lo stesso Tribunale meneghino ha inteso accogliere fra le clausole di una separazione consensuale il patto secondo cui gli animali domestici vanno affidati al coniuge presso cui è collocato il minore, in quanto l’animale domestico non rientra tra le cose ma, alla luce del trattato di Amsterdam, viene riconosciuto come “essere senziente”.

Meglio tardi che mai, si potrebbe dire. A ben vedere però così agendo si presuppone che l’animale abbia un rapporto solido col minore (e non sempre è così) col rischio di arrecare un doppio nocumento al genitore non collocatario che invece può avere uno straordinario rapporto col figlio e con l’animale. In realtà è più facile che la situazione si risolva con una scrittura privata tra i separandi, con una mediazione, tramite una negoziazione assistita o una separazione consensuale. I conviventi/coniugi continueranno difatti a guardarsi “in cagnesco” anche per un loro amico a quattro zampe, ove manchi buon senso ed equilibrio. E dunque un armistizio. La Lav in passato ha proposto di inserire nel codice civile una norma dedicata proprio all’”Affido degli animali familiari in caso di separazione dei coniugi, sulla falsa riga di quello per i figli minori, tradotto in un disegno di legge depositato in Senato (n.1932) che mira a modificare il Codice civile introducendo un “titolo XIV-bis degli animali”, con l’art. 455-ter. Potrebbe esser d’aiuto oppure porsi come una delle tante norme stravolte o interpretate cum (poco) grano salis.

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