Non solo il figlio come pomo della discordia di coppie in via di separazione ma anche cani e gatti.

“Ogni anno in Italia ci sono almeno 4.000 coppie che nell’ambito di separazioni e divorzi si scontrano per l’affidamento del cane, del gatto o della tartaruga”, afferma l’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente nazionale e fondatore dell’Ami (Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani). Gli animali di famiglia, con i quali si creano dei veri e propri rapporti dipendenza come fossero figli, entrano così sempre più spesso nelle aule di Tribunale. Un fenomeno esploso negli ultimi anni e legato in parte al crollo delle nascite in Italia: “non si mettono al mondo bambini – spiega Gassani – ma gli italiani, guardiamo per esempio il caso delle famiglie romane e milanesi, non rinunciano ad avere una cane o un gatto in casa proiettando su di essi gli stessi sentimenti di accudimento e di amore che si hanno per un figlio. Insomma l’amore per i pet non è secondo a nessuno”.

E i giudici nelle cause di separazione si trovano “inevitabilmente costretti a prendere delle decisioni anche in ordine all’animale di famiglia, oggetto di contesa”. Che significa stabilire le spese di mantenimento, del veterinario, di chi lo debba portare a spasso nei giorni dispari e chi in quelli pari.

“Non c’è una norma specifica che regolamenti il diritto di visita o il mantenimento dell’animale – puntualizza l’avvocato -, i giudici vanno molto a naso e valutano caso per caso, a seconda della razza e quindi dei costi di gestione”. Ed emette un provvedimento che non automaticamente tiene conto delle scritture private. Sì perché da qualche anno a questa parte stanno fioccando le scritture private che consentono di individuare percorsi condivisi in caso di separazione delle coppie. Nel 2015 “sono state oltre 20.000 le richieste di consulenza” alle associazioni che si occupano di animali “da parte di coppie che al momento di lasciarsi si sono resi conto di dover fare i conti con gli animali di famiglia e in particolare con i cani che acquistati insieme erano di fatto parte della famiglia”, fa sapere l’Aidaa (Associazione italiana difesa animali ed ambiente) alla quale si sono rivolte da inizio anno circa 2.000 persone (“con un incremento del 55% rispetto a tutto il 2015”) per chiedere un parere per la scrittura privata.

E se l’Aidaa ricorda che per identificare la proprietà del cane fa fede il nominativo dell’intestatario del microchip, tanto da risolvere nella maggior parte dei casi le liti ancora prima che entrino in tribunale, l’avvocato Gassani da parte sua afferma che la scrittura privata va a buon fine solo se la coppia è d’accordo. “In questo caso – spiega il presidente dell’Ami – le scritture possono essere fatte valere in giudizio ma il giudice, sopravvenuti altri elementi nella lite familiare, possono anche non tenerne conto”. D’altronde, lascia pensare Gassani, “a volte sottrarre un cane o un gatto al partner è un modo subdolo per vendicarsi”.

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