Questo può essere un articolo di carattere frivolo. Può essere, ma non è detto. Mi sono infatti interessato poco o punto di animali, pur amandoli. Ho posseduto un cane di razza Collie blue merle, di carattere tanto mite che non si è mai ribellato ai miei figli, che considerandolo alla stregua di un gioco inanimato, gliene hanno fatte di cotte e di crude. Ma questo non c’entra. L’argomento invece mi è venuto in mente per un fatto di cronaca che riguarda il mio rapporto con un felide nostrano, non felicissimo. Ma soprattutto per l ’ordinanza da parte del sindaco di Bobbio di vietare ai cani di frequentare alcune spiagge nel Trebbia e conseguentemente di bagnarsi. Per i gatti invece niente divieti, anche perché questi, per il loro carattere selvatico, sfuggirebbero ad ogni controllo. Senza entrare nel merito sia del fatto personale che dell’ordinanza, mi limiterò allora a spiegare a livello simbolico le differenze fra i due generi di animali domestici per poi decidere a quale vada la mia preferenza. Cominciamo col cane. Come sappiamo ce ne sono di tutti i tipi e di tutte le taglie. Ma tutti hanno in comune la stessa tipologia caratteriale. Intendiamoci le sfumature e anche le differenze di comportamento sono molto varie, tuttavia una cosa è comune a tutti: il senso di appartenenza al padrone e la fedeltà. Da questo punto di vista, il cane può essere considerato il compagno ideale. Si integra nell’ambiente domestico e si considera uno della famiglia. Non protesta, non si ribella al suo stato di dipendenza, anzi se ne fa un vanto. Manifesta sempre le sue emozioni, abbaiando sia quando è contento, che quando qualcosa o qualcuno lo disturba. Fra i lari ed i penati si inserisce come altro elemento simbolico o addirittura mitico, votato a custodire la casa. Il suo compito è infatti quello di proteggere tutti coloro che si muovono fra le quattro mura. Specie se trattasi di bambini con i quali, se soprattutto trattasi di razza” pastore”, il senso protettivo diventa quasi commovente, disponendosi passivamente ad accettare ogni infantile soperchieria, senza nulla protestare. Che nel linguaggio canino significa muovere lentamente la coda in segno di supina accettazione e di illimitata pazienza. Guai però a chi non è della sua cerchia familiare. Gli estranei vengono rifiutati con ringhia ed esposizione minacciosa di denti. L’aggressività diventa manifesta con latrati feroci contro il potenziale nemico che invade il suo campo. Portando all’estremo il senso protettivo e di possesso, il cane diventa allora “da guardia”, fino al punto di sacrificarsi per non cedere di fronte alle minacce che provengono dall’esterno del suo ambiente abituale. Chi possiede un cane, tutto questo lo sa bene e conosce altrettanto bene come la sua reazione aggressiva, si manifesti non solo contro le persone ma anche contro alcuni animali, considerati a torto o a ragione, nemici atavici, perché concorrenti nel cercare di assumere analoghi ruoli nelle preferenze dell’ambiente domestico. Eccoci allora al nemico principe :il gatto. Altra mentalità la sua, meno prevedibile e meno decifrabile rispetto al cane a cominciare dalla fedeltà, sia verso la casa che verso il padrone o i padroni. Ce lo dimostra il suo comportamento. Isolato, spesso accucciato, tutto osserva e tutto ricorda, ma non sembra partecipare a niente. Intendiamoci a volte struscia e si avvicina strusciando alla persona, ma tutto finisce lì. Miagola è vero con modalità diverse, a riprova che possiede i due sentimenti fondamentai di gratitudine e di contrarietà, ma non se ne cura in apparenza più di tanto. Il suo carattere felino emerge sempre: indipendenza e capacità di sopravvivere in qualsiasi situazione. Allo spirito di sacrificio canino, contrappone la sua vocazione ad arrangiarsi in modo autonomo, fino al punto di mangiare l’uccellino di casa o il pesce in acquario o la bistecca lasciata per un momento incustodita. Per questo suo carattere mai completamente domesticabile, il gatto assume simbolicamente valenze simboliche fra fantasie, mito e superstizioni, molto più del cane. Adorato dagli egizi come animale sacro, fra i prediletti di Iside, una sua rappresentazione ideale la si riscontra nella grande Sfinge, il cui carattere felino diventa espressione di potenza primitiva, che dal regno dei vivi entra di prepotenza in quello dei morti. Apportando il senso dell’eterno, che sfugge al tempo, immergendolo nel mondo degli antenati e poi da questi in quello che si aprirà in quell’altro favoleggiato regno, per altro e per molti incomprensibile, che si aprirebbe dopo il percorso terreno. Simbologia di vita e di morte dunque quella del gatto e non sempre in termini decifrabili, come da sue caratteristiche. Nelle tradizioni medievali emerge infatti per il gatto, l’aspetto terrificante, legato al regno delle ombre, dove gli aspetti infernali giocano un loro ruolo. In lui infatti fortuna e sfortuna si mescolano in equilibri sempre instabili, nei quali la superstizione gioca le sue carte segrete, che non appartengono al mondo razionale. Ne è una dimostrazione il gatto nero, da evitare come la peste, per non incorrere in qualche disgrazia. Ecco allora il punto che esprime una differenza fondamentale fra cane e gatto anche sul piano psicologico. Il primo tutta chiarezza razionale, tutta prevedibilità e poca fantasia. Il secondo invece, oscuro e indecifrabile, tale da essere paragonabile all’ elemento inconscio, in cui possono convivere pulsioni inconfessabili e sentimenti nobili, dai confini però sempre labili e in continuo suscettibile divenire. Pulsioni ho detto, come l’aggressività. Apparentemente assegnata al cane che attacca il gatto aggredendolo, in modo a volte perfino mortale, quando il felino è in fuga. Basta però che non ci sia spazio per allontanarsi dal pericolo, che il gatto reagisce. Si rimpicciolisce, si arruffa, i denti sporgono digrignanti specie i canini, le unghie si allungano e si affilano, gli occhi strabuzzano con dentro l’immagine del terrore e nello stesso tempo dell’aggressività allo stato puro, conferendo al muso alterato caratteri quasi infernali, da lotta senza risparmio. Il cane questo lo capisce e di fronte al nemico, diventato la potenza del male, non ha scampo: batte in ritirata. Queste in modo molto schematico le differenze fra i due animali. E allora quale dei due preferite? La risposta è nei fatti: la preferenza va al cane, ma di misura, forse perché la gente ama maggiormente la tranquillità, la fedeltà e soprattutto il senso del possesso che il cane, offre senza porre condizioni. Per questa ragione mal si comprende la locuzione cave canem (attenti al cane) che al purale fa canes, mentre si giustificherebbe meglio il cave feles che comprende i gatti in generale. Perché a volte questa seconda espressione, per le ragioni dette, definisce meglio quella condizione di imprevedibilità che se da un lato è da stimare, dall’altro è da temere, specie quando, incontrollata, diventa motivo di sfiducia reciproca.

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