Si tratta di “super cani”, abitualmente addestrati per riconoscere sostanze esplosive. Sono in grado di individuare sostanze volatili non ancora note, correlate alla neoplasia prostatica

Lo studio del dottor Gianluigi Taverna sui cani che fiutano il cancro alla prostata, pubblicato su The Journal of urology, è il primo ad avere una valenza scientifica inattaccabile. Gianluigi Taverna, responsabile dell’Unità Operativa di Urologia presso Humanitas Mater Domini di Castellanza (VA), ci ha raccontato le fasi della ricerca e gli incredibili risultati ottenuti grazie ai due esemplari di Pastore Tedesco che hanno preso parte attiva allo studio.

In che cosa consiste lo studio da lei svolto sui cani che fiutano il cancro della prostata?

La ricerca, pubblicata nel 2015 su The Journal of urology, ha rivelato la capacità di individuare pazienti affetti da cancro della prostata, annusando le loro urine, da parte di cani opportunamente addestrati grazie alla collaborazione del Centro veterinario del Ministero della Difesa di Grosseto.
Nello studio sono stati presi in considerazione un totale di 902 campioni di urina, raccolti spontaneamente da ciascun paziente. Sono state esaminate alla cieca da due esemplari di sesso femminile di pastore tedesco di circa 3 anni.

In passato si era già parlato di animali che “annusano” i tumori.

Lo studio che ho condotto sui cani che fiutano il cancro alla prostata, è stato ispirato da un articolo pubblicato nel 1989 sulla rivista The Lancet dai medici britannici Hywel Williams e Andrew Pembroke. I due ricercatori avevano raccontato la storia di un cane, un incrocio fra un doberman e un collie, che aveva fiutato un melanoma, localizzato sulla gamba sinistra della padrona. Quasi 25 anni dopo, il mio studio ha voluto prima di tutto capire se ciò che aveva scritto Williams fosse realtà o leggenda. E voleva essere dal punto di vista statistico, inattaccabile.

Il cane come dimostra di aver riconosciuto un campione di urina positivo?

Il percorso addestrativo può essere fatto in vari modi. Nel nostro caso specifico i campioni di urina sono stati raccolti in una stanza e il cane, dopo averli annusati, si è seduto davanti al campione “malato”. In media impiega cinque secondi ad analizzare dieci campioni.
I cani utilizzati nello studio sono “super cani”, abitualmente addestrati e impiegati a riconoscere sostanze esplosive come le mine antiuomo. Grazie a uno specifico training condotto dai loro addestratori, il sergente Paolo Sardella e il sergente Giuseppe Latorre, sono stati istruiti a segnalare la presenza di composti volatili presenti nei soggetti affetti da neoplasia prostatica.

Quali sono state le conclusioni più rilevanti alle quali siete giunti con questa ricerca?

I cani nel 98% dei casi hanno riconosciuto i soggetti affetti da tumore alla prostata, registrando una percentuale superiore a quelle delle procedure diagnostiche in uso. La conclusione più evidente è stata che il cane, opportunamente addestrato, è in grado di riconoscere il tumore della prostata nelle urine dei pazienti. E non sbaglia praticamente mai. Questo è un dato di fatto. Abbiamo preso in considerazione sensibilità, specificità e valori diagnostico predittivi positivi e negativi per ogni cane.
Il primo ha dimostrato una sensibilità del 100% e una specificità del 98%, il secondo una specificità del 98.6% e una sensibilità del 97.6%. Questi risultati equivalgono a una elevatissima accuratezza nell’identificazione di chi è affetto da malattia, così come nell’escludere chi non è malato.

Quali sono i possibili sviluppi futuri?

Ciò che stiamo tentando di capire è quale tipo di sostanza annusi il cane, perché evidentemente siamo in presenza di molecole che ancora non conosciamo. Questo potrebbe cambiare il mondo della diagnostica.
Ci sono tre tipi di risvolti e il primo riguarda la ricerca di base: la creazione dell’odore prescinde dai parametri che noi oggi conosciamo, perché c’è un meccanismo cellulare a noi sconosciuto che produce questo odore. Capire qual è la catena di alterazione, dal punto di vista metabolico, cellulare o tissutale, potrebbe sviluppare chissà quanti percorsi scientifici di comprensione del cancro. Il secondo risvolto è la comprensione, dal punto di vista microbiologico, di che cosa è composto l’odore, perché sarebbe molto facile analizzarlo e testarlo.
In conclusione se si riesce a capire che cosa annusa il cane, invece di tanti esami costosi basterebbe un po’ di urina per fare la diagnosi o un sospetto di diagnosi. E questo vale per tutti i tipi di tumore, perché l’odore è specifico.
Il terzo punto è che se si riuscisse a riprodurre uno strumento a basso costo che mima ciò che fa il cane, si potrebbe modificare anche la diagnostica.

Eliana Canova

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