Caro Corriere,
voglio raccontarti la mia disavventura. L’altro giorno stavo passeggiando con il mio cane per le vie del centro. Si chiama Birba, è una bel golden retriever mansueto e molto buono. Mi trovavo in via Lagrange e, siccome volevo fare tappa alla toilette e volevo prendere un caffè, mi sono fermato al bar di Eataly. Ma sulla porta, il sorvegliante mi ha impedito l’accesso. Mi ha detto che non potevo entrare perché c’era il divieto. «Con quel cane lei non può entrare», mi ha ripetuto più volte. In modo gentile, ma fermo e non ha voluto sentiere ragioni. Io mi sono meravigliato. Anche perché so che il regolamento della città prevede l’accesso con il proprio cucciolo in tutti i luoghi pubblici. Anche al cimitero, avevo sentito. Che strano questa città, mi sono detto. Si decide di rinunciare allo spettacolo pirotecnico di San Giovani per la salute degli animali e poi c’è chi vieta l’ingresso dei cani nei locali più amati dai turisti. Come nei supermercati. Dove una volta non si poteva entrare e, invece, in molti adesso hanno aperto, letteralmente, le proprie porte a noi padroni di cane. Come il Presto Fresco di via Clemente, sotto casa. A questo punto mi chiedo: qual è il discrimine di questi divieti? Chi autorizza a porli? Chi controlla? Non vorrei che tutto finisse al solito modo italiano. Uno si svegli la mattina e fa di testa sua. Senza pensare agli altri. A due e a quattro zampe
.  Fabrizio Genco  (Torino)

Il Regolamento numero 320 approvato dal Comune per la «Tutela animali» parla chiaro. «Nei locali aperti al pubblico e nei pubblici uffici, i cani accompagnati dal padrone o dal detentore hanno libero accesso», si legge al comma due, articolo 23, nella «Costituzione comunale» che regola la vita di cani, gatti e colombi. È vietato vietare.

Salvo «documentate motivazioni igienico-sanitarie — si legge nella norma —, comunicate dal responsabile della struttura tramite l’affissione di apposito cartello esposto in modo visibile all’ingresso» autorizzato, però, «previa comunicazione scritta all’Ufficio Tutela Animali». Impegno che, in realtà, ben pochi negozianti rispettano. Senza temere contravvenzioni.  A dicembre gli agenti della Polizia Municipale, ricevuta una segnalazione al Contact Center, effettuano un sopralluogo al locale Floris House di via Cavour 14. Il responsabile, rintracciato dagli incaricati, «dichiarava che, a seguito di alcuni episodi accaduti all’interno del locale con proprietari di cani poco rispettosi — si legge nel verbale del controllo —, si è visto costretto a vietare l’ingresso ai cani». Niente di male. Finché non scoprono che il negozio ha posto il divieto di accesso ai cani senza, però, comunicarlo alla Tutela Animali, l’ufficio incaricato del Comune.  Così, «il cartello è stato rimosso, in quanto in contrasto con il Regolamento 320 Tutela Animali», dicono i vigili che non procedono con la contravvenzione. Con il negoziante costretto, per posizionarlo un’altra volta, a scrivere la prevista comunicazione a Palazzo Civico specificando, però, il motivo di tale richiesta. Qual è? Igienico-sanitario. Definizione vaga, spesso fin troppo generica, che, scorrendo l’elenco di chi ha fatto domanda al Comune, è la più usata da chi decide di impedire l’ingresso degli animali nel proprio negozio.

Ma non è l’unica motivazione.  Dipende dai casi. E dalla tipologia e dimensioni dell’attività. Per i supermercati il copione è sempre lo stesso. I 29 Carrefour, i punti vendita Pam, i Punto Simply, i 29 In’s, le varie Coop, gli Ld e gran parte della grande distribuzione vietano l’accesso dei cliente con il cane per «motivazioni igieniche-sanitarie». In questo modo aggirano l’articolo 23 del regolamento comunale anche attività molto diverse tra loro. Il ristorante Alba di via San Pio V e la Trattoria della Posta di strada Mongreno 16. Ma anche lo show-room dell’arredobagno Sirt di corso Verona 10 e una gioielleria di via Po che non offrono cibo o bevande ai loro clienti. 

 Poi, c’è il caso di Eataly. Al supermercato di via Nizza 224 è stata accordata l’autorizzazione a vietare l’ingresso dei cuccioli per le solite ragioni «igienico-sanitarie». Mentre per il ristorante-negozio di via Lagrange, il Comune ha autorizzato il divieto per le stesse ragioni. Ma lo stop all’ingresso è stato modulato in modo particolare. «Divieto di accesso ai cani di media e grossa taglia — si legge nel documento del Comune —. Rimane libero accesso a quelli di piccola taglia tenuti in apposti pet-bag».  È uno dei tanti casi che ha attirato l’attenzione della Consulta delle associazioni animaliste che da anni è critica sul Far west dei divieti.  «In molti casi, sia nei supermercati che in molte altre attività non alimentari, non ci sono reali motivazioni per vietare l’ingresso dei cani e a derogare il regolamento», attacca il presidente Marco Francone. Che poi punta il dito anche contro chi ha posto il divieto adducendo un problema di allergie dei dipendenti. Due i casi. Il circolo sportivo Ch4 di via Trofarello e il negozio di Pungente porte e serramenti di corso Orbassano. «Dubito — aggiunge — che i lavoratori siano costretti a prendere in braccio i cuccioli». Gli animalisti chiedono più controlli. Che sono pochi o nulli. Come le contravvenzioni stilate dai vigili. Forse, uno dei pochi esercizi ad essere stati contravvenuti per un cartello irregolare, è stata un cartoleria di via Cosmo. È stata segnalata dalla Consulta che sembra l’unica realtà a vigilare il rispetto del regolamento comunale. Che in ben pochi casi respinge la richiesta di divieto di accesso ai cani. Cinque i no espressi dal 2011. Il più importante? Quello alla biglietteria di Porta Nuova. Dove il Comune, su richiesta degli animalisti, ha obbligato a togliere il divieto di accesso ai cani.

26 marzo 2018 | 12:20

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