Truman non è un bel cane. E’un cane vecchiotto, zoppica anche, ha la malinconia rassegnata dei cani grossi che escono solo per fare pipì. Non è come i soliti cani dei film, che sanno fare cose speciali. Ma è capace, semplicemente esistendo, di gettare quel ponte tra la morte e la vita ‘dopo’ che è poi uno dei nostri bisogni più autentici. Riuscire a non perdere “Truman – un vero amico è per sempre” di Cesc Gay non sarà impresa da poco, visto che esce in Italia solo in 20 copie anche se in Spagna ha monopolizzato i premi Goya: miglior film dell’anno, regia, sceneggiatura e interpreti maschili. Se è diventato un manifesto degli animalisti è perché il”quattro zampe”non è la solita presenza ricattatoria, ruffiana e strappalacrime di tanto cinema. Serve il passaparola perché non venga falciato, da noi, dopo il primo week end.

Lo schermo ci ha così sbomballato di malati terminali che sarebbe lecito tenersi alla larga. La sottoscritta, per dire, non ha ancora digerito la depressione di “Alabama Monroe”. Non è questo il caso. Perché Julian (l’argentino Ricardo Darin de “Il segreto dei suoi occhi”), che ha rinunciato all’ultimo ciclo di chemio, ha un problema concreto e prosaico: piazzare il suo cane. E sono impicci concreti e prosaici quelli che affronta con l’amico di sempre Tomàs (lo Javier Càmara di “Parla con lei”), tornato a trovarlo dal Canada.

Ne ho fatto esperienza diretta: di fronte a un tumore in metastasi si abusa di due parole insensate, ‘forza’ e’coraggio’. Invece di fronte alla morte ti aiutano le stesse cose che ti aiutano a vivere: la tenerezza, l’ironia, occuparsi di chi ti sta intorno, risolvere grane banali. Di questo parla il film, giocando di equilibrismo tra humour e tristezza. Perché di fronte alla morte i veri rapporti non cambiano, e ci si aiuta meglio prendendosi in giro. Perché usare termini militareschi? Mica vai in guerra, è giusto il contrario , devi capire e ‘capirti’ di più.

Nella ricerca di un nuovo padrone per Truman due test sociologici marciano di pari passo : la gente vuole cuccioli arzilli e schiva gli umani che “odorano di morte”. Ma il “caro estinto annunciato” non si crogiola nelle cerimonie degli addii, anzi trascina l’amico in comiche sedute con l’impresario di pompe funebri. Può far ridere il panegirico dei modelli ‘lusso’di urne? Sì, se a porre disarmanti quesiti è il diretto interessato. Sul versante adozione c’è la dama cinofila che però si rivela razzista col cameriere. Esistono, sì. Chiaro che la materia è un campo minato, puoi estrarre paradossale comicità dal quotidiano ma è vietato fare commedia. E devi sceneggiare da padreterno (firma lo stesso regista con Tomàs Aragay), tirando lacrime sul finale, ma senza l’ombra di concessioni retoriche.

Segnalo una scena, in particolare, che mi ha lasciato di sasso perché non puoi inventarla se non l’hai vissuta. Juliàn ha appena detto ai due esseri a lui più vicini che non intende aspettare la fine e loro, amico e cugina, fanno l’amore, piangendo. Mi è capitata la stessa identica cosa quando ho scoperto che il mio migliore amico era condannato. Vale sempre la vecchia massima di Hitch per cui il cinema è, dovrebbe essere, “la vita senza le parti noiose”. Senza le parti noiose ma con le sue verità, le sue reazioni spiazzanti.

Inutile dire che senza l’anima dei due protagonisti, che è una lezione di umanità militante, non ci sarebbe il film. Migliori attori ex aequo anche al Festival di San Sebastian. Il vero cane, che non si chiamava Truman ma Troilo, è morto alla fine delle riprese. Però ha un posto d’onore sui manifesti e per i cinofili, come per i cinefili, è diventato un’icona. Sarà poco, ma per un ‘cane senza qualità’come tutti i nostri di casa è meglio di niente.

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