Le giornate si fanno sempre più lunghe e il tempo mite e soleggiato ci invita a passare sempre più ore all’aperto, per goderci i profumi e i colori della primavera. E cosa c’è di più bello di una passeggiata al parco con il nostro amico a quattro zampe? Se per molti è davvero un piacere condividere questi momenti di svago con il proprio cane, per alcuni invece il momento della passeggiata si trasforma in un incubo: 20 minuti di corse, strattonamenti, litigate furiose con altri cani. In pratica una breve passeggiata vi distrugge più di due ore di crossFit. Senza considerare la frustrazione di chi, lasciato libero il proprio adorato in area cani, si vede completamente ignorato per la successiva ora: “Il mio cane non sa cosa sia il richiamo, quando siamo in giro per lui non esisto”, “Quando siamo al parco più chiamo il mio cane, più non mi considera. Se faccio per raggiungerlo scappa ancora più in là!”

Insomma guinzaglio e richiamo, due nemici belli tosti per moltissimi di noi. Ma come mai è così difficoltoso insegnare al nostro amico a quattro zampe a non tirare e a tornare da noi quando lo chiamiamo?

IL GUINZAGLIO

Il cane ha quattro zampe, noi due, quindi per forza di cose cammina più veloce. Solitamente quando il cane esce in passeggiata è in stato di agitazione ancora prima di uscire dalla porta. Quando lo leghiamo a quel guinzaglio noi non esistiamo più, tutto risulta più interessante di noi. Perché? Ovviamente tutto varia da soggetto a soggetto, dalla caratteristiche di razza, ma soprattutto da quanta attività svolge il nostro amico durante il giorno. Infatti la prima regola in assoluto per imparare qualcosa è la costanza: senza costanza non possiamo pretendere di insegnare qualcosa al nostro cane (ma questo vale anche per qualsiasi essere vivente). Se non usciamo in passeggiata con il nostro amico tutti i giorni, se non gli diamo la possibilità di scaricare le energie accumulate, non potremo assolutamente pensare di avere una buona gestione al guinzaglio né tanto meno un buon richiamo. Mettiamoci per un attimo nei panni del nostro amico: immaginiamo noi stessi dopo una settimana di febbre, costretti a letto, senza possibilità di leggere o di gio-care alla playstation… Finalmente guariti, si può uscire! Stato di esaltazione da 1 a 10? Immaginiamo ora, in questa situazione, di venir portati in via Montenapoleone a Milano con una carta di credito illimitata, ma… legati a una corda.. niente shopping! Come reagiremmo?

Un cane che può essere lasciato libero e che fa almeno tre passeggiate al giorno (insieme ad accorgimenti ed esercizi precisi) avrà sicuramente molti meno problemi di gestione e sarà molto più sereno. Per questo è importante lavorare fin da subito sulla corretta gestione del guinzaglio: sfruttare l’attaccamento di un cucciolo appena arrivato ci darà sicuramente un buon vantaggio – ecco perché non mi stancherò mai di consigliare un percorso di puppy school – ma non dobbiamo pensare di non poter correggere il nostro vecchio amico. Con un po’ di esercizio e un po’ di impegno anche un cane adulto può imparare.

IL RICHIAMO

Oltre agli accorgimenti di cui sopra, che sono validi anche per il richiamo, ecco alcuni punti essenziali per aiutarci con questo faticoso, ma importantissimo comando.

1 Se il nostro amico non risponde al richiamo non rincorriamolo mai: potremmo essere fraintesi, perché il nostro quattro zampe potrebbe interpretarlo come un invito al gioco: “Giochiamo a rincorrerci? E vai!”. Vi garantisco che non esiste maratoneta che possa vincere su un cane!

2 Attiriamo la sua attenzione nel momento del richiamo: niente toni tristi o peggio arrabbiati, ma usiamo toni allegri e felici, come se avessimo vinto alla lotteria. Il momento del suo ritorno da noi deve essere sempre essere fonte di piacere, e mai motivo di timore: premiamolo appena arriva da noi con bocconcini, carezze o parole di lode.

3 Non leghiamolo e non portiamolo via dal gioco ogni volta che lo richiamiamo, altrimenti assocerà presto il comando a una cosa negativa: “Mi chiama? O no, dobbiamo già andare a casa!”. Mentre siamo in area cani o liberi per i boschi chiamiamolo ogni tanto, premiamolo e lasciamolo tornare alle sue faccende.

4 Quando lo richiamiamo, se fatica a tornare muoviamoci in direzione opposta e, se possibile nascondiamoci, in modo che noi possiamo vedere lui, ma non lui noi. Rimarrete stupiti dalle corse che farà per venire a cercarci.

5 Non sgridiamo o puniamo mai il cane che torna da noi dopo troppo tempo, sarebbe controproducente e la volta dopo sarà ancora peggio. È bene dire, però, che ci sono alcune razze, come i segugi, che faranno sempre molta più fatica di altri a tornare al richiamo perché quando seguono piste odorose, tutti gli altri sensi vengono abbandonati, compreso l’udito. Se abbiamo un beagle, un setter o un breton, quindi, oltre a quanto detto sopra dovremo armarci di pazienza, costanza e fiducia. L’esplorazione è una caratteristica intrinseca nel loro DNA, non possono farne a meno. Le prime volte che vi eserciterete con il richiamo assicuratevi di essere in aree recintate o comunque più che sicure, la base per una buona relazione è l’aver acquisito una buona fiducia l’uno nell’altro e per questo ci vuole tanto tempo.

IL GATTO BENGALA

La selezione della razza Bengala (detta anche Bengalese o Bengal) è piuttosto recente e frutto dell’incrocio tra gatti domestici e gatti selvatici (Felis Bengalensis – Prionailurus bengalensis). I primi tentativi risalgono alla metà del XX secolo, come esito di una ricerca sul virus responsabile della leucemia felina. Infatti questi gatti selvatici, con un patrimonio cromosomico compatibile con il gatto domestico, sono immuni a tale malattia. In seguito alcuni allevatori hanno dato avvio a nuovi incroci con l’obiettivo di ottenere gatti con mantello maculato come il Felis Bengalensis. Nel programma di selezione furono impiegati esemplari di varie razze, tra cui alcuni Siamesi, Abissini, Burmesi e anche gatti comuni. Oggi il Bengala è selvatico solo al 10%: una percentuale più elevata avrebbe comportato la trasmissione anche di caratteristiche poco apprezzate per un felino domestico. La razza è stata riconosciuta ufficialmente nel 1991.

ASPETTO E CARATTERISTICHE

Il Bengala ha mantenuto le caratteristiche fisiche del piccolo gatto selvatico Felis Bengalensis o Gatto Leo-pardo. La sua peculiarità più evidente è la particolarissima pelliccia, che lo fa sembrare un leopardo in miniatura: il mantello maculato, da corto a medio – a volte più lungo nei gattini – ha una tessitura fitta, sontuosa, eccezionalmente morbida al tocco e preferibilmente lucida.

È un gatto scattante e molto muscoloso, specialmente il maschio, che ha una struttura ossea robusta. Il treno posteriore di questo felino è leggermente più alto delle spalle e le zampe di media lunghezza e molto atletiche, terminano con piedi grandi e rotondi. La coda è spessa e affusolata all’estremità. Il corpo lungo e possente è ben proporzionato alla testa, che forma un cuneo ampio, con contorni arrotondati. La fronte è leggermente bombata fino alla canna nasale, che culmina in un naso grande e largo, con il tartufo leggermente gonfio. La canna nasale si estende fin sopra gli occhi, che sono grandi, di forma ovale, leggermente a mandorla e parzialmente obliqui verso la base delle orecchie, che si presentano ben distanziate, fondamentalmente corte, larghe alla base e con le punte arrotondate. Gli zigomi sono alti e prominenti, con guance piene nei maschi adulti.

ATTITUDINI

Questo felino coniuga l’aspetto “selvaggio” del leopardo con il carattere affettuoso del gatto domestico. Il Bengala solitamente è sicuro di sé, vivace, curioso e amichevole. Ha un temperamento molto attivo, intraprendente ed è un abile cacciatore: ha quindi bisogno di sfogare nel gioco tutta la sua esuberanza. A differenza della maggior parte dei gatti ama perfino l’acqua, ulteriore indizio, insieme al suo miagolio profondo, della sua parentela stretta con l’antenato leopardo. Ama essere lodato e coccolato, ricambiando l’affetto ricevuto con dolcissime effusioni.

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