Come possono dei gatti rappresentare una minaccia per un intero paese come l’Australia? Semplice: predando la fauna selvatica endogena. L’Australia è uno dei paesi maggiormente danneggiati dalla presenza di predatori “alieni”, ossia animali importati in luoghi che non sono quelli di loro origine. Il più famoso fra questi è probabilmente quello riguardante Tibbs, il gatto del guardiano del faro di Stephens Island che sterminò gli ultimi scriccioli della specie Xenicus lyalli a fine Ottocento. Ciò dipende dal fatto che gli animali che popolano le isole o territori rimasti a lungo isolati, come appunto l’Australia, sono poco adattati alla presenza di predatori. Sulle isole, gli uccelli tra cui il kiwi e il kakapo, quest’ultimo un pappagallo notturno della Nuova Zelanda incapace di volare, tendono a compiere piccoli voli o a non volare affatto, nidificando a terra e divenendo quindi facili prede dei nuovi “invasori”. I danni alla fauna selvatica australiana dovuti ai gatti sono quindi tali da aver determinato, nel 2015, l’approvazione di un piano che prevede l’uccisione di 2 milioni di gatti randagi entro il 2020.

Non è facile conciliare l’immagine del gatto come animale domestico che richiede coccole e attenzioni con quella di un killer naturale che rappresenta una significativa minaccia per la biodiversità. Ma chi ha, o ha mai avuto un gatto lasciato libero di andare in giro, sa che può capitare di vederlo tornare indietro con un topolino o una lucertola tra i denti, offerta al padrone come regalo. Molteplici studi hanno cercato di quantificare l’impatto dei gatti vaganti sulle altre specie: in uno dei più recenti studi, i ricercatori hanno dimostrato come negli Stati Uniti, i gatti predino oltre 80 specie native di uccelli. Quanto all’Europa, uno studio del 2012 ha evidenziato che i gatti sono gli animali che hanno più impatto sulle altre specie: la loro predazione ne influenza 21, 11 delle quali a rischio di estinzione.
L’istinto predatorio del gatto lo spinge a cacciare anche quando è ben nutrito; e per questa ragione, il problema in Australia non riguarda solo le colonie di randagi che possono creare danni importanti persino nei centri urbani, ma comprende anche i gatti domestici che, pur avendo un proprietario, sono lasciati liberi di uscire. Inoltre, il problema non è dato esclusivamente dal numero di piccoli mammiferi o uccelli uccisi. Diversi studi dimostrano che i gatti possono anche avere effetti definiti sub-letali: la sola presenza nelle vicinanze dei siti di nidificazione riduce la capacità proliferativa degli uccelli perché l’aumentata vigilanza nei confronti dei predatori riduce gli sforzi per procurarsi il cibo e nutrire la prole.

In Australia sono state condotte sperimentazioni sull’utilizzo di una campanella che, attaccata al collare, dovrebbe far fuggire l’animale minacciato, ma tale strategia sembra non funzionare con gli uccelli. Pare che per la fauna selvatica sia difficile associare il suono della campanella all’avvicinarsi di un predatore.
Un gruppo di ricerca statunitense ha addirittura sviluppato un apposito collare, ampio e molto colorato, che dovrebbe mettere in allerta gli uccelli e impedire al gatto di portare a buon fine la caccia.  La scelta migliore è il contenimento del fenomeno del randagismo tramite sterilizzazione e promozione delle adozioni, e tenere in casa i gatti che hanno un proprietario. Un gatto può stare tranquillamente dentro casa, purché gli vengano prestate le cure necessarie e un ambiente stimolante dal punto di vista comportamentale. Senza contare che un gatto lasciato libero di uscire incorre in una serie di rischi che vanno dalla possibilità di essere investito a liti con altri gatti. Anche solo tenerli in casa di notte può ridurne l’impatto sulla fauna selvatica, perché molti micromammiferi sono notturni.

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